Il pontefice: «Tutti potranno votare nel Sinodo, donne e uomini. La questione del genere diluisce le differenze e rende il mondo uguale. E questo va contro la vocazione umana»
Pubblichiamo alcuni stralci dell’intervista rilasciata da papa Francesco al quotidiano argentino «La Nación».
Non esiste un piano di pace vaticano, ma il Papa rivela che esiste un «servizio di pace» cui la Santa Sede sta lavorando per porre fine alla brutale invasione della Russia in Ucraina.
Come sa, sono appena stata lì, ho visto con i miei occhi la devastazione, le scuole, gli ospedali, le case rase al suolo, i villaggi che non esistono più, le fosse comuni… Lei parla ogni domenica e mercoledì di un popolo martire. Possiamo parlare anche di genocidio?
«È una parola tecnica. Per esempio nel caso degli armeni si è discusso molto, naturalmente i turchi erano contrari, finché non è stato certificato che si trattava di genocidio. Tecnicamente non saprei come definirlo. Ma ovviamente quando si bombardano le scuole, gli ospedali, i rifugi, l’impressione non è tanto quella di occupare un luogo, ma di distruggere. La guerra ha una serie di regole etiche. Non mi piace parlare di etica della guerra perché è una contraddizione in termini, ma non è un modo di procedere. Non so se questo sia un genocidio o meno, deve essere studiato, ma di certo non è un’etica di guerra cui siamo abituati».
Ha parlato di Putin come di una persona colta. Può una persona colta essere allo stesso tempo dietro ai crimini di guerra che abbiamo visto?
«Lui è colto. Mi ha fatto visita qui tre volte come capo di Stato e con lui si può avere una conversazione di alto livello. Una volta abbiamo parlato di letteratura. Parla perfettamente il tedesco e l’inglese. È un uomo colto. La cultura è qualcosa che si acquisisce, non è una categoria morale. Sono due cose diverse».
È frustrato di non essere riuscito a parlare al telefono con Putin da quando ha invaso l’Ucraina?
«No. Il secondo giorno sono andato all’ambasciata. Il ministro Lavrov mi ha risposto che mi era molto grato, che ci stavano pensando, ma ovviamente non per il momento. Ora, il Vaticano sta facendo qualcos’altro, qualcosa di più diplomatico, per vedere se si può ottenere qualcosa».
C’è un piano di pace da parte del Vaticano?
«No, non c’è un piano di pace, c’è un servizio di pace che, per discrezione… Ma ci sono diversi capi di Stato interessati, no?»
Un servizio per la pace?
«C’è il desiderio di servire la pace. Per esempio in India, Modi è molto preoccupato. E Modi è un uomo equilibrato che può benissimo chiedere un dialogo con i due. Ci sono altri capi di Stato. E si sta lavorando sottobanco…Finché il dialogo è possibile, andiamo avanti».
È verosimile un incontro in Vaticano tra Zelensky e Putin?
«Detto così, Zelensky e Putin, non lo so. Ma è verosimile un incontro mondiale, di rappresentanti mondiali su questo. C’è anche un gruppo israeliano che ci sta lavorando. È probabile che diversi gruppi si riuniscano e facciano qualcosa, giusto? Il Vaticano sta lavorando…Sono disposto ad andare a Kiev. Voglio andare a Kiev. Ma a condizione che io vada a Mosca. Andrò in entrambi i posti o in nessuno dei due».
Ma Mosca è impossibile…
«Non è impossibile. Non sto dicendo che è possibile. Non è impossibile. Speriamo di farcela, eh. Non c’è nessuna promessa, niente. Ma non ho chiuso quella porta».
Ma Putin la chiude, no?
«Forse si distrae e la apre, non lo so».
Mi piace il suo ottimismo.
«La guerra mi fa male, ecco cosa voglio dire».
È vero che le è stato chiesto di scrivere un documento sul gender?
«No, nessuno mi ha chiesto un documento. Sì, chiarimenti. Io faccio sempre una distinzione tra la pastorale con persone di diverso orientamento sessuale e l’ideologia di genere. Sono due cose diverse. L’ideologia di genere, in questo momento, è una delle colonizzazioni ideologiche più pericolose. Va oltre la sfera sessuale. Perché è pericolosa? Perché diluisce le differenze, e la ricchezza degli uomini e delle donne e di tutta l’umanità è la tensione delle differenze. È crescere attraverso la tensione delle differenze. La questione del genere diluisce le differenze e rende il mondo uguale, tutto smussato, tutto uguale. E questo va contro la vocazione umana».
Il sinodo sulla sinodalità è la grande scommessa del momento?
«Per dirla in termini calcistici, chi ha calciato il pallone per primo è stato Paolo VI. Alla fine del Concilio, si rese conto che la Chiesa d’Occidente aveva perso la dimensione sinodale. Così creò la segreteria del sinodo dei vescovi, che si riuniva ogni quattro anni. Ho partecipato a due riunioni. Lì stava maturando un processo decisionale diverso. Circa dieci anni fa c’è stata una seria riflessione ed è stato redatto un documento, che ho firmato, una cosa comunitaria. Significava “questo è il massimo a cui siamo arrivati, ora c’è bisogno di qualcosa di più”. Per esempio, era accettato da tutti che le donne non potessero votare. Così, nel sinodo per l’Amazzonia, è stata posta la domanda: perché le donne non possono votare? Sono forse cristiane di seconda classe? In altre parole, si ponevano problemi sempre più seri per migliorarsi».
E ora?
«Tutti coloro che partecipano al Sinodo voteranno. Coloro che sono osservatori non voteranno. Chiunque partecipi a un sinodo ha il diritto di votare. Che sia uomo o donna. Tutti, tutti. La parola “tutti” per me è fondamentale».
12 marzo 2023 (modifica il 12 marzo 2023 | 09:13)
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