Nel 1987 lo scrittore commentava: «Passato il dì di festa sono arrivati i soliti manipolatori della città, di cui sbandierano un’immagine vecchia, convenzionale, folcloristica che sta bene a giornali, tv e al resto d’Italia. Io dico no al solito mito ingannatore… Attraverso la vittoria dello scudetto non si possono risolvere tutti i problemi, soprattutto quelli che concittadini furbi hanno contribuito a non risolvere
Gran parte delle firme storiche del Corriere della Sera hanno scritto articoli che fanno parte della storia di questo giornale e del Paese. Dal numero di 7 in edicola il 12 maggio, vi proponiamo questa commento di Raffaele La Capria allo scudetto del Napoli, che apparve sul quotidiano il 1 giugno 1987; insieme ad altri due pezzi di Mario Soldati e Gaetano Afeltra e Raffaele La Capria pubblicati il 24 febbraio e il 23 maggio di quello stesso anno. Li trovate entrambi cliccando sui link nel Leggi anche. Buona lettura
«E così ancora una volta Napoli ha fatto parlare di sé. Non per un terremoto, non per un’epidemia, non per una catastrofe, ma per una vittoria che le ha dato lo scudetto. Tutta quella folla che a tratti, quando ondeggiava come un mare nello stadio stracolmo faceva inconsciamente risalire dalla memoria storica ancora la vecchia plebe (quella che da Masaniello agli eccidi del ‘99 incute sempre una sottile serpeggiante paura all’onesto ceto civile), è scoppiata in un empito di gioia così assoluto, che, almeno a me, è sembrata patetica, e mi ha commosso. Ma oggi, dopo che il dì di festa è passato, è permesso anticipare qualche considerazione inattuale e non ufficialmente allineata alla generale euforia. E allora ripeto che sì, sono stato felice della vittoria del Napoli, perché non avrei dovuto esserlo? È stata un’iniezione di ottimismo per una città che ne aveva proprio bisogno. (…) Però a quella prima fase dì gioia patetica e innocente, genuina (…) ne è seguita un’altra, i soliti manipolatori di Napoli si sono impossessati di quel moto di gioia popolare e lo hanno trasformato in qualche cosa in cui io, e molti altri napoletani come me, non si riconoscono».
«Lo hanno trasformato in una parata di “napoletaneria”, sbandierando un’immagine di Napoli vecchia, convenzionale, folcloristica, che ricordava i tempi di Lauro. E però quest’immagine sta bene a tutti: ai giornali, alla televisione, e all’Italia, perché ribadisce un pregiudizio radicato e una serie di luoghi comuni collaudati. Da una parte l’Italia di su ha guardato in giù, verso Napoli, con condiscendente bonarietà: ma sì, poveracci, non li vedete come sono allegri per un po’ di calcio? Lasciamoli divertire, si contentano di così poco! Dall’altra parte, i napoletani stessi, quelli più furbi, hanno cercato di far passare interessatamente la vittoria del Napoli per chissà quale magico evento (…), quasi che per miracolo attraverso quella vittoria si potessero risolvere tutti i problemi non risolti della città, soprattutto quelli che loro, i furbi, avevano contribuito a non far risolvere».
«Ed ecco che il mito, il mito che serve ad asservire e nello stesso tempo a ottundere la consapevolezza dell’asservimento (abbellendolo), il solito mito ingannatore cui ricorrono politici e politicanti locali, i trafficanti di idee e ideologie sudiste, ha steso la sua ala luccicante di falsi splendori sulla città. (…) Mi sono spesso domandato qual è la causa che rende così “incomprensibile” Napoli al resto dell’Italia, e alla fine ho concluso che molto semplicemente Napoli è l’ unica megalopoli d’Italia: ed è difficile per gli abitanti di una città, delle altre città italiane, capire i problemi di una megalopoli. Per ragioni storiche che, qui non e il caso di ricordare, Napoli è stata dal ‘600 in poi sempre una megalopoli, e dunque un caso molto particolare in Italia. Ancora nell’800 essa apparve al Fucini una «tana sterminata». Ma oggi i problemi di questa megalopoli sono diventati più complicati, e appaiono spesso irrisolvibili. Anche quelli che sarebbero risolvibili, come il traffico ad esempio, qui diventano una tragedia».
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«Perché questa megalopoli italiana da una parte ha aspetti di tipo sudamericano, dall’altra si trova non in mezzo a un continente ma in un paese piccolo, sovraffollato, e che per di più ha tutti i vantaggi e gli svantaggi di una società opulenta. (…) La cultura e la pratica urbanistica a Napoli, forse proprio perché impegnate per la vita e per la morte della città, hanno raggiunto un livello altissimo, sia per l’enormità del compito che per la grandiosità della progettazione. Questa cultura ha capito che «una delle cause dello sfascio edilizio e una delle ragioni della disgregazione sociale così forte a Napoli, è là mancanza di un “cuore della città” che ne esprima l’identità storica e la fisionomia. Se a questo sfascio si vuol rimediare occorre qualificare pazientemente tutto l’ambiente urbano». E di conseguenza, anche quello naturale, perché Napoli è la città più «naturale» d’Italia. Ecco dunque un compito immenso che la cultura napoletana ha fatto suo, e che, se ci saranno i mezzi adeguati, la terrà occupata per molti anni futuri (…) ».
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Scrittore e sceneggiatore, Raffaele La Capria nacque a Napoli nel 1922 ed è morto a 99 anni nel giugno dell’anno scorso. Due figlie, sposato per 53 anni con l’attrice Ilaria Occhini scomparsa nel 2019, vinse il Premio Strega nel 1961 col romanzo «Ferito a morte». Sul Corriere ha scritto tra il 1963 e il 2020.
12 maggio 2023 (modifica il 12 maggio 2023 | 03:51)
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