La moglie di Berardi, esce allo scoperto dopo che un tifoso della Roma le ha augurato di abortire: «Succede sempre più spesso. Forse sono solo minacce ma chi me lo garantisce? Pronta a farmi sentire fino in Parlamento»
Francesca a padel è meglio non affrontarla. Spesso a Modena organizza dei tornei con gli amici e non perde mai: «Infatti nessuno vuole più giocare con me», scherza. Ha 28 anni, è incinta del secondo figlio (il primo, Nicolò, ha poco più di due anni) ma di stare ferma non ne vuole proprio sapere. D’altronde da ragazzina ha provato tutto, dal tennis alla pallavolo, dalla danza al calcio: «Dopo l’estate, però, mi iscriverò al corso per diventare maestra di padel. Voglio insegnare ai bambini i valori dello sport. L’educazione, la correttezza, il rispetto per le persone». Con lei un tifoso della Roma non ne ha avuto: «Chissà se nascerà, a volte non succede», le ha scritto su Instagram riferendosi alla sua gravidanza. Francesca, scossa, ha replicato subito: «Complimenti, sei pure un padre. Ma la vogliamo smettere?». Tutto sui social. Tutto per una partita di calcio.
Il rigore, il gol e la rabbia dei romanisti
Francesca Fantuzzi, infatti, da oltre 10 anni è la dolce metà di Domenico Berardi. I due si sono sposati la scorsa estate sulle rive del Lago di Garda. Si sono conosciuti da ragazzini, ora sono una famiglia. Il marito, da talento promettente, è diventato un attaccante da oltre 100 gol in serie A. Domenica ha contribuito alla vittoria del Sassuolo sul campo della Roma: a fine primo tempo, fra mille polemiche, si procura un rigore che segnerà, provocando l’espulsione di un Kumbulla piuttosto ingenuo. I tifosi giallorossi sono furiosi e un certo Marco Fancelli – nome e cognome sono ben visibili nelle storie postate dalla donna — non si trattiene, augurandole il peggio che una madre possa sentirsi dire: «Mi ha scritto pubblicamente e in privato. Poi, dopo aver reso pubblico l’accaduto, ha cancellato il profilo in fretta e furia. Ma non può finire sempre così».
«Voglio combattere per mio figlio»
Non è la prima volta che viene presa di mira per i gol del marito: «Sta capitando troppo spesso. Speravo che dopo l’ultimo polverone (“Crepate!” le scrissero i milanisti in seguito alla vittoria del Sassuolo a San Siro
) la gente avesse capito, invece no». A sconvolgerla è la cattiveria dei commenti: «A Domenico augurano di finire su una sedia a rotelle, a me dicono di stare attenta perché sanno dove esco, con chi, a che ora. Saranno anche solo minacce, ma chi me lo garantisce?». Sui social, dove è molto attiva, il volto del figlio è sempre pixellato: «Un peccato. Lui è buffo, davvero divertente. A volte mi piacerebbe mostrarlo, ma con quale coraggio? Mi scrivono che gli vorrebbero fare del male, come posso escludere che un giorno, riconoscendolo, qualcuno gli tiri dell’acido in faccia? La mia non è una scelta voluta, è obbligata. Non posso condividere una cosa così bella ma anche così poco protetta». Nicolò è ancora piccolo, per fortuna: «Perché mi sentirei male a immaginarmelo 14enne. Cosa gli potrebbero fare dopo un gol del padre? Questa battaglia la voglio combattere per lui».
Lezioni a scuola per «Entrare nelle coscienze»
Si espone senza paura Francesca: «Lo faccio con il mio nome, non come moglie di un calciatore. Anzi, Domenico mi ha pure detto di lasciare perdere, che sarei solo una goccia nell’oceano. Ma voglio parlare ai ragazzi della mia generazione perché saranno loro, un domani, ad avere dei figli». Prima azione concreta da intraprendere: «Entrare nelle coscienze. Come? A scuola, almeno una volta al mese, si dovrebbe tenere una lezione sul corretto utilizzo dei social. Magari da parte di chi ha subito delle violenze, così che possa spiegare come si sente chi sta dall’altra parte dello schermo. D’altronde il mondo va avanti e i social fanno parte della nostra quotidianità. Un Paese deve stare al passo con i tempi. E un buon Paese deve tutelare i suoi cittadini. Oggi in troppi si tolgono la vita a causa di internet».
L’appello alla politica
Una seconda azione invece coinvolge direttamente la politica: «Il vero problema è che non si sa chi si nasconde dietro ai social. Potrebbe essere il vicino di casa o uno che abita a mille chilometri di distanza. Ho provato a denunciare per tre volte, senza successo. Non c’è una regolamentazione ufficiale, non si può fare niente. Dovrebbe essere obbligatorio autentificarsi tramite un documento, così che le autorità possano avere un nome e un cognome da perseguire. Non deve passare il concetto del “posso fare tutto quello che voglio perché tanto non mi vede nessuno”. C’è bisogno di una legge apposita , non basta il limite minimo di età, che è facilmente aggirabile. Sono pronta a battermi per far arrivare in Parlamento una proposta di legge in merito. Ho conosciuto il bullismo, ho tanti amici che ci hanno avuto a che fare. Molti si girano davanti al problema, io no. Ai miei figli voglio dare un mondo diverso».
13 marzo 2023 (modifica il 13 marzo 2023 | 20:20)
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