Figlio del regista Nanni Moretti, il giovane artista, che ha studiato pittura a Londra, sorprende con i suoi dipinti. Gi entrati in un museo italiano, il Castello di Rivoli e nella collezione della Fondazione Iannaccone.
Non il primo n sar l’ultimo figlio d’arte, e non c’ “peccato originale”. Solo che lui ha debuttato sulla scena a pochi mesi, sulla spalla del padre Nanni Moretti, nel film Aprile (1998). Guardava dritto in macchina, proprio come fa oggi con occhi acuti che ti soppesano e l’orecchio come un radar. Il tono della voce per me qualcosa di molto importante e attraverso cui mi sembra, spesso, di capire se posso o meno diventare amico con qualcuno, afferma. Un’intelligenza viva e multiforme, un’indole di scrittore unita a quella del pittore. Questo Pietro Moretti, che si preso la libert di essere artista, perch non una costruzione, ma una vocazione.
Per sei anni ha studiato pittura a Londra, che cosa pensava di trovare di diverso o di meglio formandosi all’estero?
Qual stata la spinta? Ho studiato a Roma al liceo artistico Ripetta. Sentivo per l’esigenza di mettermi alla prova per un periodo e allora la scelta caduta su Londra perch, come molti della mia generazione, rappresentava, prima della Brexit, una meta ideale per la vivacit della scena artistica e musicale, e una metropoli stimolante dove anche da giovani ci si pu realizzare, essere valorizzati — non infantilizzati come mi pare capiti spesso in Italia — e imparare dalla grande ricchezza multiculturale della citt. Una volta arrivato l ho capito che l’immagine fittizia che mi ero creato era abbastanza distante dalla realt ultra-capitalistica della citt, eppure essa rimane per me un luogo importante in cui ho incontrato persone straordinarie, di culture molto diverse e ciascuna con la propria storia, e in cui sono cresciuto come persona emotivamente, intellettualmente, politicamente, frequentando per un periodo un gruppo extra-parlamentare di sinistra. Sono stato aiutato dai miei genitori durante gli studi e poi, come molti coetanei, per mantenermi ho fatto il cameriere, il barista, il lavapiatti, il pescivendolo, il traduttore, e infine l’insegnante di sostegno. Se Roma una persona depressa sonnolenta e rintanata a letto, di cui intravedi la bellezza e le tante potenzialit, ma che purtroppo affidata a un pessimo psichiatra che continua a somministrarle medicinali sbagliati, Londra ora mi appare pi come una persona sempre drogata di anfetamine che continui a incontrare alle feste, che vorresti conoscere, ma che ti sfugge costantemente.
alla sua seconda personale, alla galleria Doris Ghetta. Farsi valere per il talento, per s stessi, e non per quel suo cognome. Una doppia fatica…..
Chi vuol vedere i miei lavori capir, chi vuol vedere altro continuer a vedere altro.
Lei convintamente figurativo, almeno in questa fase…
Gli artisti ai quali guardo e m’ispiro sono coloro che si interrogano o si sono interrogati sulla societ in cui vivono e a cui appartengono, su quel che hanno intorno, e sulla loro vita e posizione in tutto ci. Per nominarne qualcuno: Max Beckmann, Fausto Pirandello, R.B. Kitaj, Dana Schutz, Michael Armitage. Penso che il rinnovato interesse per la figurazione in pittura nasca anche da un desiderio di saper descrivere, sapere immaginare e riconoscere quel che si ha intorno e districarsi in una societ cos fagocitante di immagini. Tuttavia io non mi considero del tutto ‘figurativo’, piuttosto mi interessa riflettere sulla porosit tra stati fisici e psicologici, su come tradurre una sensazione psicologica fisicamente, interrogandomi su come la ‘realt’ sia composta da diversi strati non sempre visibili. Lo studio delle fiabe, in questo, mi sembra insegni tantissimo.
Un suo dipinto racconta una scena all’interno di un ospedale psichiatrico, che lei ha visitato essendovi ricoverata una persona a lei cara… Com’ nato?
Dal cactus che poi domina la scena. Tornando in quell’ospedale pi volte mi sembrava curioso come quella pianta fosse abbandonata a s stessa appena fuori dal reparto psichiatrico, in netto contrasto con gli ambienti asettici dell’ospedale: un lembo cresceva ritto verso l’alto e l’altro si storceva verso il basso. E poi anche noi siamo un po’ storti. A poco a poco ha iniziato a diventare per me una sorta di metafora della malattia mentale, della precariet della mente; una crescita incontrollabile che il sapere medico-scientifico non riesce a gestire fino in fondo, a conoscere del tutto.
Trova interessante in una persona la complessit della coscienza alterata?
S, anche se quello non centrale nel dipinto. M’interessa molto che cosa affiora attraverso il corpo e sul corpo, interrogandomi anche fino a che punto si pu essere in controllo del proprio corpo, cos della propria mente.
Timore di perdere il controllo?
Forse s, ma cerco di non darvi troppo peso. Penso, semmai, che nella nostra societ vi sia una certa alienazione dal corpo dovuta alla relazione con le immagini del nostro quotidiano, con stereotipi culturali nocivi, che spinge il corpo a essere sempre performante e produttivo. Il cactus cresce in condizioni climatiche anche molto dure, e modella la sua forma alla ricerca del sole, e laddove non lo trova si contorce su s stesso per trovarlo, spingendosi fino a deformarsi. In questo senso mi sembra tocchi — metaforicamente — qualcosa di come il desiderio, in assenza di intimit e in situazioni di solitudine, possa diventare anch’esso molto storto.
Ci sono nei suoi dipinti elementi ricorrenti come le mani e i mozziconi di sigarette…e questi ultimi sono per te una misura del tempo…
Negli ospedali, come vedi in quel dipinto, i mozziconi delle sigarette lasciate un po’ ovunque all’esterno diventano quasi gli indicatori di un tempo diverso nel quale si vive in tali istituzioni, un tempo di attesa e di sospensione. Le mani e anche i piedi sono per me portatori della relazione tra l’interno e l’esterno, dell’interiorit pi intima di una persona, poich hanno a che fare con il tatto, con l’essere radicati nel mondo.
In mostra c’ questa tela sull’amicizia maschile, molto articolata nella sua dinamica di uno scambio, anche fisico, tra persone. E poi lei trova sia molto importante anche l’amore romantico.
Nella tela Tra i tuoi vuoti pensavo sia alla tenerezza, al prendersi cura dell’altro in un’amicizia maschile, sia a come l’amicizia possa avvicinarsi e combaciare con una relazione d’amore. Se l’amore spesso inteso come “amore romantico”, ossia una costruzione sociale e patriarcale solo riferita a una coppia monogama — quasi sempre etero — in cui realizzarsi attraverso l’altro/a, dunque idealizzante. Penso invece che l’amore sia una questione molto pi complessa. Mi piace molto la definizione che propone la scrittrice bell hooks: non siamo obbligati ad amare. Decidiamo di amare… quando capiamo l’amore come il voler nutrire la propria crescita spirituale come quella dell’altra persona.’ In ogni caso penso che l’amore sia l’opposto della vergogna – anche se i due sono inevitabilmente legati. Se provare vergogna sentirsi inadeguati, esposti malvolentieri, sentire un muro di vetro smerigliato crescere tra s stessi e un altro/altri, l’amore accettazione, essere visti, riconosciuti e poter vedere un’altra persona.
Legge molto?
S, fumetti, fiabe, letteratura, saggistica. Quando studiavo a Londra, alla Slade, scrivevo storie brevi da cui poi facevo video che erano pessimi. Ci che pi mi piaceva era fare gli storyboard ad acquerello per i possibili video, cos ho capito che la pittura era per me molto pi coinvolgente, era la mia dimensione.
La terra sotto i tuoi piedi, titolo di un dipinto, deriva da una sua lettura di una novella di Buzzati.
Quando ho incontrato questo racconto mi ha colpito sia l’immagine di una persona che precipita guardando dentro a tutte le altre vite che potrebbe avere, ma a cui non pu appartenere, sia la resistenza del testo a un’interpretazione univoca: parabola sociale, metafora esistenziale, sogno, incubo o crudo realismo. Dal canto mio ho cercato di reinterpretare questo racconto per riflettere sul desiderio di appartenere e, in aggiunta, pensavo a come il desiderio, soprattutto quando si soli, isolati, o legati a valori culturali tossici, possa essere animato da impulsi nocivi, ossessivi, qualcosa che invece di favorire la propria vitalit pu rivelarsi distruttivo. La donna che precipita, che io mi immagino come una cameriera di un catering, cos presa dal desiderio di afferrare il bicchiere di prosecco che le sta porgendo la donna sul balcone che quasi non si accorge della sua caduta, annodata com’ su se stessa. Entrambe desiderano un contatto ma rimangono sole.
Dipingere dilata il tempo?
Mi piace molto lavorare sia ad acquerello sia a olio. Il primo molto pi immediato come tecnica, una sessione sufficiente, e per me questo ha quasi a che fare con l’improvvisazione, con il pensare attraverso il fare, abbandonandosi un po’ all’imprevedibilit dell’acqua. Mentre la pittura a olio un processo molto pi lento, stratificato, per me pieno di errori e ripensamenti, che procede per dubbi e tentativi, per: ‘e se ora facessi questo cosa succederebbe?’ Ci mi affascina perch alla fine un quadro un addensamento di tempo, una sorta di mappa visiva di tutto il processo compiuto, dei momenti in cui non sapevo davvero dove andare a parare e dei momenti in cui le cose uscivano da s. In questo senso s una dilatazione o al contrario una concentrazione del tempo, di pi momenti, segni e movimenti. Ma quando dipingo s si dilata anche il tempo, entro in uno stato di quasi dissociazione dal tempo dell’orologio per cui alla fine magari sono stato a lavorare per 4 ore perdendo la cognizione del tempo – quando va bene, quando va male ne ho fin troppa. Come regola, se ho usato pi di 10 pennelli in una giornata non una giornata buona.
Che cosa d felicit oltre al dipingere?
Non dipingo per “essere felice”, credo che fare pittura sia per me un modo per confrontarmi con questioni che mi toccano, un modo di dare un senso al mio tempo. Cos’altro mi piace fare? Camminare voyeuristicamente per strade che non conosco, fare lunghissime conversazioni con amici o sconosciuti che poi magari non finiscono da nessuna parte, farmi spiegare cose che non conosco o capirle da persone che le capiscono, andare a concerti, rave, festival di musica elettronica e jazz (quando ho visto suonare il batterista Yussef Dayes ho pensato che, in un’altra vita, avrei desiderato suonarla anch’io), vedere bei film, leggere libri o fumetti, fumare sigarette, osservare i gatti che guardano uccelli fuori dalla finestra, stare al sole, andare per mercati dell’usato in cerca di vestiti e oggetti curiosi.
Dov’ il suo atelier?
Dopo Londra, dove mi sembrava di aver finito un percorso e anche le mie energie, sono tornato a Roma: avevo saputo da amici che c’era un gran fermento, e sono stato molto fortunato di trovare uno studio presso Post-ex, un laboratorio ricavato da un ex garage. L siamo quattordici artisti, tutti di diverse et e con lavori e ricerche molto differenti, e oltre a condividere lo spazio tra un po’ speriamo si potr anche esporre. Stare l mi fa sentir bene, perch in questo luogo c’ la possibilit di confrontarsi con gli altri artisti, farsi domande sul perch del nostro lavoro, sentire pareri e anche per questa mostra mi sono confrontato molto con alcuni pittori che lavorano l: Luca Grimaldi, Cristiano Carotti e Flavio Orlando mi hanno supportato e soprattutto sopportato molto negli ultimi mesi .
rassicurante stare con gli altri e avere verifiche del suo lavoro?
So che altri preferiscono stare da soli, nel mio caso apprezzo l’interazione, magari altri ti fanno notare cose alle quali tu non hai badato, e ci rifletti sopra.
Quindi non un solitario….ma essere figlio unico un vantaggio o uno svantaggio? Oppure poi si trovano dei fratelli tra gli amici?
Beh quando lavoro preferisco stare da solo, s…per Londra in questo mi ha insegnato che, alla fine, la famiglia la si trova nelle persone che hai accanto, con cui si condivide un’intimit, e non mai un qualcosa di dato o di stabile poich i rapporti, come tutto, bisogna coltivarli.
Per lei niente cinema (come suo padre Nanni regista) e niente musica (come suo nonno, il compositore Luigi Nono). Com’ cresciuta in lei la scelta della pittura?
Disegnavo fin da quando ero molto piccolo, ma durante l’adolescenza ho avuto problemi fisici che mi hanno spinto a passare ancora pi tempo in solitudine a disegnare e poi a dipingere. In quel periodo scoprivo Goya, Rembrandt, El Greco, Tiziano, Bacon. Senza esserne consapevole mi affascinava come un quadro potesse essere cos complesso e denso di interpretazioni nonostante sia solo della materia su una superfice. Mi piace anche come il processo sia pi solitario e fisico rispetto ad altre arti e vi sia un aspetto molto manuale e immediato — fatto essenziale per chi impaziente come me — da veri nerd in cui la differenza di intensit tra un blu phthalo e un blu di cobalto fa tutto. Nonostante ami il cinema e anche la musica, con la pittura mi sento a casa
Nessuna esitazione quando affronta la tela?
Beh inizio “sporcandola”, a preparare il fondo, e queste fasi sono anche molto rapide per commettere quegli errori che poi servono veramente a iniziare l’opera, ponendosi le domande sulla tela…e non solo in testa. Nello scarto tra come si vorrebbe dipingere e quel che poi esce su tela vi per me la propria ricerca personale. E a questo penso ogni volta che inizio un quadro e mi sento terribilmente insoddisfatto di quel che sta uscendo..
Ma dopo tante ore in studio, una birretta con gli amici?
’A voja
I suoi amici sono ancora quelli del liceo? E quale la qualit fondamentale in una persona perch le diventi amico/a?
Ho ancora alcuni amici del liceo ma anche tanti nuovi e sicuramente sono affascinato da chi un/a bravo/a conversatore, il che non implica che parli tanto quanto che vi sia una sincerit e consapevolezza in quel che dice.
9 maggio 2023 (modifica il 9 maggio 2023 | 07:41)
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