Campi sommersi per oltre un metro e ancora nel fango. L’agricoltore: «Ogni ora che passa, gli alberi hanno una probabilità in meno di vita». «Non si dorme di notte, si piange in silenzio e si aspetta che l’acqua vada via. Che altro possiamo fare?»
Dalla nostra inviata
GHIBULLO (RAVENNA) «Non si dorme di notte, si piange in silenzio e si aspetta che l’acqua vada via. Che altro possiamo fare?». Il sorriso amaro di Nevio Santolini, classe 1965, è quello di tanti, tantissimi altri agricoltori alle prese con i danni di questo maggio tragico. Il suo meleto — a Ghibullo, sud di Ravenna — è ancora sotto almeno venti centimetri dell’acqua che lo ha sommerso giovedì scorso, e lui sa bene che più le radici stanno a mollo più faticano a respirare. E se non respiri la regola è sempre la stessa: muori. «Il raccolto di quest’anno ormai lo diamo per perduto», dice Nevio indicando le meline che in questo periodo della stagione sono grandi come una noce. «Per quel che ne sappiamo potrebbe essere già troppo tardi anche per le piante. Anzi, diciamo che è molto probabile che sia proprio così. Non ci voglio pensare ma se devo essere realistico dico che siamo ben oltre il rischio: abbiamo alte probabilità che muoiano tutte».
La sua «Bombardi e Agnoletti» è un’azienda agricola giovane, nata nel 2018. Scelta biologica e conduzione familiare (come la gran parte, nel Ravennate) per coltivare quasi cinque ettari di sole mele, delle due varietà pregiate e brevettate che si chiamano Inored Story e Regal You. Sotto i teloni antigrandine e in mezzo ai tubicini dell’impianto di irrigazione, le piante hanno i «piedi» infangati fino a più di un metro, segno del livello massimo raggiunto dalla piena passata da qui. Sarebbe d’aiuto usare una pompa o un’idrovora per mandare l’acqua nel canale in fondo al campo, ma ci vorrebbe un trattore e fra un filare e l’altro non si può andare con nessun trattore, perché qualsiasi mezzo pesante rimarrebbe impantanato.
«Quel giorno, quando ho visto l’acqua che cominciava a riempire il canale ho pensato: ecco, è come nel 1996», ricorda Nevio. «Mi sbagliavo. Quella volta l’acqua è arrivata e se n’è andata in un giorno, stavolta è qui dopo tutti questi giorni e non se ne vuole andare. Per un agricoltore il frutteto allagato è la disperazione. Abbiamo messo su questo meleto interamente con il mutuo. Le piante, l’impianto, la rete antigrandine… è roba che costa. All’inizio è già tanto se la produzione ti copre la prima rata del mutuo; adesso potevamo cominciare a sperare di andare un po’ oltre, e invece a questo punto possiamo soltanto sperare che le piante non muoiano, ma la vedo dura».
La «Bombardi e Agnoletti» è piccola: 1.200 quintali di raccolto per meno di 100 mila euro di fatturato. Ma la sua storia da alluvionata e l’angoscia di Nevio sono simili a quelle di migliaia di altre imprese agricole — piccole o grandi che siano — dal Ravennate al Forlivese, dai dintorni di Cesena, a quelli di Faenza, Imola… Le radici delle sue mele, a pochi chilometri da Ravenna, affondano nella palude come succede agli alberi da frutto di Conselice, dove l’acqua ristagna, da una settimana, più abbondante che in ogni altro luogo. «Qui le case sono tornate asciutte ma la gravità, per quanto è compromessa la piantagione, è la stessa che a Conselice», conferma lui. «Il nostro meleto aveva una stima di vita produttiva di vent’anni», spiega ancora Nevio. «Siamo al quarto ed è probabile che si debba abbattere tutto. E immaginiamo il peggio: per estirpare una piantagione come questa ci vorrebbero settimane, con la difficoltà aggiuntiva di lavorare il terreno a impianti già fatti. Meglio non pensarci».
Un piano d’azione? «Se l’acqua non va via non c’è niente che si possa fare. Ogni ora in più di palude è una probabilità di vita in meno per le piante. Appena il campo non avrà più fanghiglia proveremo ad arieggiare il terreno. Che il cielo ce la mandi buona…».
23 maggio 2023 (modifica il 23 maggio 2023 | 22:53)
© RIPRODUZIONE RISERVATA