Intervista con Karen Giorno, consigliera di presidenti, da Bush e Clinton a Trump: «Per vincere la nomination repubblicana bisogna conquistare la base che crede nel conservatorismo costituzionale»
La Florida è uno Stato che potrebbe produrre i due candidati favoriti alla nomination repubblicana alla Casa Bianca, Donald Trump e Ron DeSantis, ed è un laboratorio per capire dove vanno il Paese e gli elettori conservatori. Ne abbiamo parlato con Karen Giorno, che non lavorerà nelle prossime elezioni, ma è stata consigliera di Donald Trump e prim’ancora di George H. W. Bush e di Bill Clinton alla Casa Bianca. È la prima di una serie di interviste con «addetti ai lavori» per capire cosa ci aspetta nelle prossime elezioni del 2024 in America.
Analogico vs digitale
«La mia carriera è iniziata negli anni analogici — ci dice Karen Giorno via zoom da West Palm Beach in Florida —. Quando ho iniziato a lavorare a livello presidenziale avevo 21 anni. Ci sono solo alcune di noi donne al livello più alto della politica che restano nel business. Non so perché, non so dire se sia perché cercano operatrici più giovani oppure perché ci si sposa, si fanno figli, si cambiano interessi… ma io penso che lavorare a livello presidenziale per un lungo periodo porti una prospettiva unica».
«Quand’ho iniziato, negli anni Novanta, andavo in giro per i distretti elettorali con il cercapersone, un rotolo di monete per telefonare da una cabina e una mappa cartacea. Quando sono entrata alla Casa Bianca, la prima amministrazione che ha usato internet e le email è stata quella di George H. W. Bush. In questi trent’anni la politica è cambiata, la cultura è cambiata, il modo in cui vediamo gli eventi è cambiato. Oggi, nell’era digitale, devi avere un rapid response team perché qualunque cosa un cittadino abbia girato con il suo telefonino arriva ai media e, se riguarda il tuo candidato, devi rispondere in tempo reale. È stata una transizione difficile per me, sono una tradizionalista, ho studiato Scienze politiche, ho studiato i filosofi politici, credo che la nostra forma di governo sia la migliore del mondo, lo dico attraverso le lenti della storia. Quello che non capisco dei miei colleghi di sinistra è che attaccano continuamente il nostro sistema. Loro possono farlo, ma in molti Paesi non è possibile. Mio padre era un veterano della guerra di Corea e del Vietnam. Temo che senza una prospettiva storica, per molti cittadini sia difficile contestualizzare molte le questioni che affrontiamo oggi nel mondo e la propaganda che tenta di indottrinare intere nazioni, comunità, fino agli individui. Viviamo in un’epoca di precarietà».
La Florida
«La Florida, in realtà, sono tre diversi Stati. È un “bellwether state” (uno Stato trendsetter ndr). La ragione è che in un solo Stato trovi ogni singolo gruppo demografico: questa è la Florida. Se vuoi fare un sondaggio veloce su come la pensa il Midwest oppure il Nordest o una determinata comunità etnica, puoi farlo in Florida. Non è scientifico, ma può darti un senso delle cose. Quando ho seguito la Florida per Donald Trump, abbiamo fatto otto diverse campagne, perché le persone del Panhandle letteralmente non parlano la stessa lingua e non hanno la stessa cultura, gli stessi valori, le stesse credenze delle persone di Miami-Dade. Ci sono 67 contee. Se cerchi di comunicare un messaggio, non puoi usare lo stesso linguaggio e le stesse tattiche come faresti in uno Stato più omogeneo come l’Iowa. La Florida è anche lo swing state» (oscillante, in bilico ndr) più grande, anche se forse non lo è più, dopo l’ultima elezione, per l’alta percentuale con cui ha vinto il governatore Ron DeSantis (il 19% ndr). Non si era mai sentita una cosa del genere. Di solito la differenza è minima, l’ultima volta era di 33mila voti, ma anche in altre elezioni non era maggiore del 2% da una parte o dall’altra. Era uno stato con un numero più o meno uguale di elettori repubblicani e democratici e con un piccolissimo numero di indipendenti poco propensi ad andare a votare che facevano la differenza (adesso gli elettori repubblicani registrati hanno ampiamente superato i democratici ndr). Ma abbiamo anche una solida maggioranza repubblicana nella nostra legislatura statale e in tutti i ruoli esecutivi a partire dal procuratore. Non sono più sicura che sia uno stato “viola”, uno “swing state”».
Il partito repubblicano
«Non è strano che i partiti che perdono la corsa per la presidenza abbiano poi una crisi di identità. Quando Trump ha perso, il partito repubblicano ha attraversato una crisi di identità, chiedendosi se sia davvero il partito di Trump, se sia ancora basato sul MAGA e sull’America First, sul conservatorismo costituzionale. E personalmente io penso che questi dibattiti siano salutari. Per capire il MAGA bisogna tornare indietro al 1992, all’ascesa di Ross Perot e del suo movimento, senza il quale probabilmente Bill Clinton non avrebbe vinto la presidenza. Se Perot non fosse entrato in campo prendendosi il 19% del voto, George H W Bush sarebbe stato rieletto e questa sarebbe oggi un’America molto diversa. Il movimento di Ross Perot rientra in quello che chiamiamo il movimento dei Tea Party, ma allora non aveva coesione. All’interno dei singoli Stati c’erano singoli Tea Parties che operavano indipendentemente da ogni organizzazione nazionale, non c’era un leader. Donald Trump ha cooptato il movimento dei Tea Party e lo ha riproposto come movimento MAGA, perché la maggior parte dei sostenitori erano in linea con il conservatorismo costituzionale, il ritorno alla Costituzione e l’opposizione al globalismo, che Trump ha sposato. Che sia Trump, DeSantis, Pompeo, Nikki Haley o qualcun altro, se non sposa i principi del conservatorismo costituzionale nessun candidato può vincere la nomination repubblicana perché la base costituita dal 33% circa del partito repubblicano, non li seguirà. Non puoi vincere la presidenza con quel 33% ma ne hai bisogno per costruirci sopra la tua vittoria. C’è una parte molto leale della base, che non abbandonerà mai Donald Trump. Potrei speculare che, di questo 33%, il 10% (facendo una stima conservativa) non lo mollerà mai. Sarà molto difficile a mio parere, se Trump supera tutte le bufere, che non sia lui il candidato del partito. Non importa quanti soldi DeSantis riesce a raccogliere: nessuno ha l’appeal di Donald Trump».
9 marzo 2023 (modifica il 9 marzo 2023 | 03:03)
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