Il ministro della Cultura: «Era già così. Per essere a capo del “Reina Sofia” di Madrid tra i requisiti c’è anche la nazionalità spagnola»
Ministro Gennaro Sangiuliano, ha fatto discutere l’indiscrezione sull’inserimento dell’obbligo della conoscenza della lingua italiana nei nuovi bandi per i direttori dei grandi musei. La norma, dicono alcuni, svela un approccio anti stranieri per rimettere i musei in mani italiane. È così?
«La conoscenza della lingua italiana, oltre che della lingua inglese, è un requisito previsto anche dai bandi dei miei predecessori. Ai professionisti del ricamo giornalistico è sfuggito. Del resto agli italiani che vogliono lavorare nelle istituzioni culturali di molti Stati europei è richiesta la conoscenza della lingua locale. Ho più volte chiarito di non avere alcun pregiudizio nei confronti degli stranieri. In questi mesi ho avuto modo di collaborare con professionisti eccellenti come il direttore degli Uffizi Eike Schmidt e quello del Parco Archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel. Tuttavia trovo singolare, e segno di un certo provincialismo, il fatto che le prime dieci istituzioni culturali italiane siano guidate da stranieri. Come se nella nazione che vanta riconosciute università nel campo dei beni culturali e della storia dell’arte non ci fossero profili capaci. È bene ricordare che il bando per il posto di direttore del Reina Sofia di Madrid, importante museo spagnolo, al punto 5.1 recita: “Tener la nacionalidad española” (avere la nazionalità spagnola, ndr)».
Quali direttori di musei italiani impegnati all’estero vorrebbe veder tornare?
«La professionalità italiana nell’arte è apprezzata in tutto il mondo. Dovendo fare dei nomi, partirei da una personalità di origini italiane alla quale nel 2020 è stata conferita la nostra nazionalità per meriti speciali: Gabriele Finaldi, dal 2015 direttore della National Gallery di Londra. Ma penso anche a Gennaro Toscano, consigliere scientifico della collezione museale della Biblioteca Nazionale di Francia, a Vincenzo De Bellis, direttore di Art Basel, a Barbara Jatta, direttore dei Musei Vaticani. Naturalmente non scelgo solo io. Ci sarà una commissione autonoma che vaglierà le candidature».
Molti esponenti della attuale maggioranza premono per intervenire nelle istituzioni culturali per cambiare quella che viene definita l’egemonia della sinistra. Ma questa egemonia, secondo lei, dove e come si manifesta?
«Ho più volte chiarito di non voler sostituire all’egemonia della sinistra alcuna altra egemonia, ma solo di voler rendere la cultura libera e plurale. Un agone in cui chiunque abbia idee, si spera originali e innovative, abbia la possibilità di esprimerle. Non è stato sempre così, lo ricordo spesso. Come agli inizi del Novecento, quando Papini, Prezzolini e Soffici organizzarono a Firenze la prima mostra sugli impressionisti francesi con tele di Matisse, Degas, Sisley e Van Gogh, furono censurati dal mainstream dell’epoca che affermò che quella non era arte. Più di recente, è innegabile ciò che Marcello Veneziani definisce la cappa, una certa polizia del pensiero, la psico polizia, che vuole imporre dettami senza sottoporli ad alcun vaglio critico».
Lei cita spesso Gramsci. È una provocazione culturale oppure può far parte di quel nuovo immaginario italiano che piace alla maggioranza di centrodestra?
«Svelo un mio progetto: da anni lavoro a una biografia intellettuale di Antonio Gramsci, personalità che mi ha sempre affascinato. Questo lavoro richiederà tempo e studio. Nel Profilo ideologico del Novecento Italiano, Norberto Bobbio traccia un affresco di quella circolarità di idee che si realizzò tra personaggi molto diversi: Giovanni Amendola, Prezzolini, Papini, Soffici, Gobetti, Pareto e appunto Gramsci. Nella mia biografia di Prezzolini, pubblico una lettera di Gramsci a Togliatti in cui gli raccomanda il modello de La Voce per il nascente Ordine Nuovo. Gramsci è dotato di una formidabile capacità di analisi, ho letto e riletto Letteratura e vita nazionale con il richiamo alla letteratura popolare. E trovo bellissimo il suo appello: “Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo…”».
Non è di sua competenza: ma dobbiamo aspettarci che la futura Rai si allinei al governo Meloni e modifichi il racconto del Paese?
«Allineamento è un concetto sovietico e da Comitato centrale del Partito comunista che da conservatore non mi appartiene. Si legga il bel romanzo di Ermanno Rea, Il mistero napoletano o, se preferisce, Solženicyn. Sono altri quelli che hanno allineato anche in anni recenti. Credo che la Rai, prima industria culturale della Nazione, debba essere libera e garantire il pluralismo».
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12 maggio 2023 (modifica il 12 maggio 2023 | 22:02)
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