Da oggi il via alle esercitazioni militari sulle coste dell’isola per simulare un attacco. Il ministro degli Esteri spiega: «Dobbiamo saperci difendere da soli». Ma i cittadini della capitale non hanno paura
DAL NOSTRO INVIATO
TAIPEI — Su quattordici «spiagge rosse» di Taiwan da oggi si combatte per respingere la prima ondata di attacchi simultanei dei cinesi. Niente panico: sono «giochi di guerra» simulati al computer, con i generali di Taipei che si limitano a spostare bandierine sulle loro mappe. Però la posta della partita è da incubo: si tratta di ributtare in mare gli invasori in un ipotetico T-Day, il «giorno più lungo» per la libertà dell’isola che Xi Jinping ha giurato di «riunificare». L’ordine del governo taiwanese è di intensificare l’addestramento nel modo più realistico possibile: tra pochi giorni sulle spiagge si muoveranno i soldati taiwanesi e saranno sparate munizioni vere.
In un’intervista con alcuni giornali internazionali tra i quali il Corriere, il ministro degli Esteri Joseph Wu ha riassunto così la strategia politica di Taipei: «Non stiamo chiedendo a nessun Paese di combattere al posto nostro, al momento ci serve sostegno morale e lo stiamo ricevendo molto più di prima. Dagli Stati Uniti continuano ad arrivare le armi necessarie. Agli europei diciamo di considerare che l’impatto di una guerra scatenata dalla Cina sarebbe molto grave anche per le loro economie e l’unico modo per scongiurarla è rafforzarci. Le democrazie non debbono cedere ai diktat di un regime autoritario, non debbono farsi intimorire dall’uso che Pechino fa della sua potenza commerciale come arma. Ma siamo chiari: Taiwan deve prima sapersi difendere sul campo da sola, non possiamo aspettarci che altri lo facciano al posto nostro se noi non ci prepariamo».
Ecco perché le prove di guerra sulle spiagge taiwanesi in corso da oggi. Nome in codice «Han Wang», si svolgono ogni anno, ma questa volta arrivano subito dopo le grandi manovre lanciate in aprile dai cinesi intorno all’isola. Dopo la fase «tabletop» (sui tavoli dei comandi), a giugno saranno impiegati reparti sul terreno e sparate munizioni vere.
Il generale Lin Wen-huang, capo dell’ufficio operazioni della Difesa di Taipei dice alla stampa che «questa simulazione mette alla prova la nostra reazione rapida sulle coste e la mobilitazione delle riserve mobili» per respingere un possibile tentativo di invasione da parte delle forze anfibie di Pechino.
In sostanza, si tratta di resistere e mantenere una capacità combattiva in attesa degli sperati soccorsi da parte degli Stati Uniti, che dovrebbero arrivare nel giro di pochi giorni se l’incubo dell’attacco cinese diventasse realtà. Dalla tenacia dell’esercito taiwanese e dalla rapidità degli americani dipenderebbe la sorte dell’isola.
Gli strateghi sono convinti che la conformazione del territorio aiuterebbe i difensori. La maggior parte delle coste taiwanesi è ricca di scogliere a picco, alte tra i 300 e i 600 metri: «È un dono divino», ha osservato Ian Easton, senior director del Project 2049 Institute di Washington, ex analista del Pentagono.
I cinesi avrebbero solo poche spiagge per tentare uno sbarco: quattordici. Utilizzerebbero la loro schiacciante superiorità in uomini e mezzi per attaccare con le loro unità anfibie su più obiettivi contemporaneamente, cercando di costituire delle teste di ponte in punti deboli. Sulle mappe dei generali di Taiwan queste aree più vulnerabili sono state cerchiate di rosso e denominate «Red beaches».
Dieci giorni fa ha tenuto un’esercitazione anche la capitale Taipei: soccorsi per un attacco missilistico contro obiettivi civili. Si è svolta nel quartiere del «101», il grattacielo alto 501 metri, orgoglio del Paese e meta turistica sempre affollata, con il suo osservatorio che domina la città. Simulazione molto accurata dal punto di vista scenografico: colonne di fumo, cumuli di macerie, autobus finiti in una voragine aperta in una strada, figuranti che impersonavano i feriti evacuati dalla zona. «Abbiamo visto quello che succede in Ucraina, bisogna istruire la gente a ogni emergenza», ha detto alle tv il sindaco Chiang Wan-an. Però, per non creare allarme, sono stati impiegati solo membri della protezione civile e riservisti, senza coinvolgere la popolazione che ha saputo dell’esercitazione solo dalla stampa.
Come vivono tra le voci di guerra i taiwanesi? «Ren Ai» significa «Generoso amore» in mandarino. Ed è il nome di una delle arterie principali di Taipei, dove abbiamo avvicinato decine di passanti che si godevano una pioggia sottile e insistente dopo mesi di siccità. Che cosa pensa di questa crisi? «Quale crisi?» è stata la prima risposta del dottor Chen, 40 anni, medico del servizio sanitario nazionale, uno dei punti di forza del governo, visto che copre più del 90% delle spese dei 23 milioni di taiwanesi. La minaccia cinese di invadere, gli diciamo. «Ah, la sentiamo ripetere da molti anni, non mi fa sentire in ansia… lo stress lo dà la responsabilità di curare i pazienti ogni giorno». La signora Huang ha in braccio una bambina tutta sorrisi: «Penso che sia solo una faccenda della politica e che il nostro governo sappia quello che si deve fare… e poi abbiamo una donna come presidente e le donne non ordinano le guerre». Una coppia di anziani passeggia con il barboncino: «Di sicuro non cederemo, Taiwan non è la Cina, siamo due Paesi diversi, noi liberi e loro no». Robert Yu, 45 anni, ride: «Taiwan è sviluppata e solida, in Cina hanno un sacco di problemi economici, la gente di là lo sa e non credo che voglia risolverli mettendosi a spararci… non ho paura e poi, con o senza paura, bisogna vivere».
Il governo ha lanciato un piano di addestramento per i riservisti dell’esercito, potrebbero richiamare anche il tecnico informatico Yu, che ha 35 anni: «Farei il mio dovere, come ho visto che stanno facendo tutti gli ucraini e questa è un’isola, più difficile da attaccare». Ha 20 anni Cheng Yu-tong, studente universitario di design industriale: «Le guerre sono orribili, al momento non ci credo, sono solo dichiarazioni, minacce per spaventarci. Tra poco sarò di leva, ma sono fortunato, a me toccano solo quattro mesi, l’allungamento a un anno è stato deciso dal 2024 per chi è nato a partire dal 2005». E che cosa si aspetta dalla naja il designer Cheng? «Quattro mesi non mi cambieranno la vita, non diventerò un professionista dell’esercito, però mi impegnerò per imparare a usare un fucile e rendermi utile se dovesse mai servire». La signora Chen Hsiao-ling fa l’infermiera in un ambulatorio e ha una sua analisi razionale: «Con i cinesi continentali abbiamo le stesse origini, la stessa cultura, solo il loro partito comunista vorrebbe invaderci. Io ho sentito che Xi Jinping ha promesso di lavorare per la pace in Ucraina, come potrebbe fare la guerra a Taiwan? Perderebbe la faccia e ogni credibilità». Però, la minaccia resta. «Dobbiamo restare calmi ed essere felici di noi stessi; ci rendiamo conto di trovarci in una situazione geopolitica difficile, con un vicino come la Cina, ma siamo la ventunesima economia del mondo, al secondo posto per libertà civili in Asia, è giusto essere soddisfatti di quello che abbiamo costruito e dobbiamo dimostrare di essere preparati a difenderci, è il modo migliore per evitare la guerra», dice al Corriere la dottoressa Catherine Hsu, che guida il Dipartimento Informazione degli Esteri.
15 maggio 2023 (modifica il 15 maggio 2023 | 13:13)
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