Grazie alla riforma Cartabia, convertiti in pena sostitutiva i nove mesi decisi dal tribunale per due cittadini autori di un post offensivo su Facebook
Nove mesi di condanna a lavori di pubblica utilit, per offesa all’onore o al prestigio del presidente della Repubblica in un post pubblicato sul gruppo Facebook denominato Sergio Mattarella non il mio presidente, pu sembrare tanto. Ma, ma a conti fatti, sono niente in confronto alle caterve di anni di carcere che rischiavano in Tribunale – per le altre due ipotesi di reato di offesa alla libert del presidente della Repubblica (da cinque a 15 anni) e di istigazione a delinquere (da uno a cinque anni) – i due internauti autori di quei messaggi online: messaggi che del presidente della Repubblica disapprovavano, in termini offensivi, le scelte istituzionali operate durante le consultazioni politiche del maggio 2018, e in particolare la svanita nomina a ministro dell’Economia del professor Paolo Savona (poi andato a guidare la Consob) nel primo governo Conte grillo-leghista.
Dalle due pi pesanti accuse la giudice milanese Alessandra Di Fazio ha infatti assolto i due imputati, come peraltro chiesto dalla stessa Procura di Milano che aveva ricevuto in questi termini gli atti da Palermo dopo che nel giugno 2021 il gip Giuliano Castiglia, rilevando l’incompetenza territoriale del capoluogo siciliano rispetto agli addebiti formulati dai pm palermitani sulla rete internet, aveva conseguentemente spezzettato il procedimento e inviato gli atti nelle sedi di residenza dei vari indagati. I due finiti a Milano, e ora assolti dai due reati pi gravi, sono per stati condannati dalla giudice in rito abbreviato (dunque con lo sconto automatico di un terzo) a nove mesi per offesa all’onore o al prestigio del presidente della Repubblica, reato commesso dai due imputati con due post che insultavano Mattarella e a tratti auspicavano minacciose reazioni alle sue scelte. I due condannati hanno tuttavia potuto usufruire di una delle norme introdotte dalla cosiddetta riforma Cartabia, e cio hanno potuto vedere la propria reclusione convertita in una pena sostitutiva individuata in un programma di lavori di pubblica utilit.
Anche in questo procedimento l’identificazione degli autori dei messaggi online stata effettuata senza l’ausilio delle piattaforme social network, e operata (laddove possibile) soltanto grazie a elementi diversi di indagine. Ancora una volta, infatti, le piattaforme (come in questo caso Facebook) hanno risposto che molti dei post elencati nella richiesta di assistenza inviata dai magistrati italiani, sebbene offensivi e controversi, al social network sembrano costituire un linguaggio protetto dal primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, in base al quale appunto la libert di parola e il linguaggio anche diffamatorio, ingiurioso o offensivo non generalmente perseguibile negli Stati Uniti. Solo in un caso (un post dove l’internauta pronunciava anche una minaccia) gli americani erano parsi possibilisti, chiedendo per ulteriori prove che una tale minaccia potesse essere presa seriamente in Italia, anzich intesa solo come un’iperbole politica.
13 marzo 2023 (modifica il 13 marzo 2023 | 21:35)
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