I memoriali del massacratore del Circeo, raccontati in«Io sono l’uomo nero», di Ilaria Amenta. Le violenze, il compiacimento, l’alleanza di neofascisti con massoni e satanisti
Leggere i memoriali di Angelo Izzo ha tolto il sonno a lungo all’autrice di «Io sono l’uomo nero», Ilaria Amenta, giornalista Rai. Ci sono brani che tolgono il fiato. Come questo: «Gli stupri per lungo tempo furono per alcuni di noi una specie di hobby cui ci dedicavamo con una frequenza diciamo settimanale». Scrive Izzo che di «sfasci» (come chiama le violenze sessuali) ne commettevano talmente tanti che «era difficile distinguere le orgette con le nostre schiave sessuali, magari consenzienti, dagli stupri veri e propri».
«Ero nel cuore dell’odio: quando uccidevo, mi eccitavo»
Un gruppo di ragazzi, di adolescenti, della buona borghesia di piazza Euclide, a Roma, che prova l’ebbrezza del potere, del dominio, del sopruso sopra una donna. Izzo racconta: «In quelle situazioni sfogavo molto più che la mia libidine compulsiva. Provavo qualcosa di ben più profondo e mostruoso che mi albergava dentro e che sentivo premeva per irrompere. Ero nel cuore de
ll’odio, un po’ le stesse sensazioni che ho provato uccidendo. Quando uccidevo mi eccitavo». Gli stupri che racconta qui precedono di un anno e mezzo il massacro del Circeo del 1975 e valgono al gruppo una prima condanna a due anni e sei mesi di carcere. Il tribunale scrive che i condannati hanno dimostrato «una insensibilità che lascia sgomenti». Dopo sei mesi, però, i tre tornano in libertà con la condizionale. C’è una frase, in sentenza, che farà molto discutere, dopo il massacro del Circeo: «Gli imputati, tutti di ottima famiglia, una volta usciti dal carcere imboccheranno la strada giusta».
È una vicenda, quella di Izzo, che mette a dura prova la fiducia nel carcere non come strumento punitivo ma di reinserimento sociale. E nelle misure alternative come metodo per recuperare alla società chi ha commesso un reato. Ma qui siamo oltre, siamo in un territorio che evidentemente invade la sfera di una psiche malata e che non può essere usato per togliere valore agli strumenti che negli anni ’70, dalla legge Gozzini in poi, furono usati per evitare che il carcere diventasse criminogeno.
«Di ottima famiglia»
Quella sentenza, però, dice un’altra cosa. Dice che chi è «di ottima famiglia» è più facile da recuperare. Ottimismo classista che mette i brividi. Invece – scrive Amenta – «Per Izzo e i suoi compagni di ‘orgette sessuali’ la donna è un pezzo di manzo, un giocattolo, una “cosa” per sfogare gli istinti animali, lo avete letto, accontentata la bestia…, un passatempo, un hobby appunto». Molti anni dopo, nel 2004, Izzo fu liberato e l’anno dopo uccise ancora due donne, a Ferrazzano. Perché, scrive nel diario, «avevo pure collaborato con la giustizia, ma l’ho fatto per uscire, per poi tornare a commettere reati di fuori. Non ho mai voluto fare altro».
«Ho stuprato anche maschi, sono femminista»
Izzo si prende gioco di tutto, impone la sua morale distorta in una lettura paradossale della realtà. Gli anni ’70 sono gli anni del femminismo, del tentativo della donna di riacquistare il dominio sul proprio corpo e l’uguaglianza con gli uomini. Izzo stupra, sevizia, uccide donne, ma si proclama femminista: «A pensarci bene, anche il fatto che ho ucciso svariate donne potrebbe voler dire, paradossalmente, che io non faccio differenze di genere. E davvero non faccio differenze, perché mi è assolutamente indifferente uccidere un uomo o una donna, e perché, come facevano gli unni, quando mi è capitato, non ho mai esitato a stuprare anche qualche maschietto. Odio la società patriarcale e mi dispiace per le femministe, che così perdono un facile bersaglio per le loro polemiche, ma probabilmente sono molto più femminista di loro. Per me, uomini e donne hanno esattamente gli stessi diritti e gli stessi doveri».
Neofascisti, massoni e satanisti
Il libro di Amenta (qui l’introduzione, nella Rassegna del Corriere) è uno schiaffo, ma anche uno squarcio inedito della storia dei «drughi pariolini». Non un gruppo di ragazzi deviati che imitano solo Arancia meccanica, ma una vera setta, la Rosa
Rossa, che unisce neofascisti e massoni, notabili e satanisti.
Due mesi prima del delitto del Circeo, scompare Rossella
Corazzin
, allora appena diciassettenne, proprio come Rosaria Lopez e Donatella Colasanti, le due donne massacrate al Circeo (Colasanti riuscì a sopravvivere). La ragazzina sparisce a Tai di Cadore, dove era in vacanza con i genitori. L’unica traccia che lascia sono alcune lettere nelle quali accenna di aver conosciuto un certo “Gianni”. Nel 2016, dopo quasi mezzo secolo, Izzo riferisce al Procuratore di Belluno che Rossella Corazzin fu sequestrata da una banda di stupratori, portata sul lago Trasimeno, violentata e uccisa. Il magistrato non gli crede ma nel 2022 la commissione
Antimafia dice che il suo racconto è credibile. Nel memoriale pubblicato da Amenta, Izzo racconta i dettagli.
Il mostro di Firenze
Il rito di iniziazione, secondo la ricostruzione di Izzo, avvenne intorno a un tavolo della villa del medico perugino Francesco Narducci, rampollo di una nota famiglia dell’alta borghesia fortemente legata ad ambienti massonici, il cui nome compare negli atti delle indagini sul mostro di Firenze e scomparso nel nulla nel 1985. «Noi vestiti c
on tuniche bianche con cucita su una rosa rossa, abbiamo a turno violentato la ragazza e quindi “iniziato” una decina di noi, trasformandoli in adepti, fra cui Andrea Ghira». Izzo descrive Narducci come «un camerata, un figaccione, biondino, belle moto, belle auto, sempre elegante con cui avevo stretto una bella amicizia. Partecipammo insieme anche a riunioni e convegni massonici e di gruppi di estrema destra».
L’iniziazione
Izzo, racconta Amenta, aveva sentito parlare per la prima volta di questo Ordine della Rosa Rossa e della Croce d’oro da Julius Evola e poi da un monsignore del
Vaticano. Glielo descrissero come una setta molto potente para-massonica, la fratellanza Rosacroce, gli eredi dei Templari. Ed è così che i «drughi pariolini» vengono iniziati alla Rosa rossa, in una villa di Firenze: «In questa specie di villa medicea impura, ci furono presentati, come padroni di casa, un anziano fiorentino di antica nobiltà, che intrattenendoci ci raccontò che Dante Alighieri era un Rosacroce, un paio di anziani medici, un professore di chiara fama, un noto politic
o e soprattutto fummo raggiunti da un giovane uomo, che ci fu detto essere un gran maestro dell’Ordine della Rosa Rossa. Aveva due occhi inquietanti, abbronzato, capelli neri ricci, alto e molto elegante. Ci fu detto che era un massone del 33°, il massimo livello della massoneria».
Il «Re del male»
La disponibilità all’omicidio è il primo compito assegnato: «Uccidere per evocare potenze dell’aldilà, uccidere per acquisire forza. Uccidere per procurarsi sangue e feticci che servivano per altre potenti pratiche esoteriche, oltre che per le evocazioni. Parlammo anche del sesso come mezzo per ottenere poteri alchemici e per attrarre nella setta uomini potenti e viziosi che una volta entrati nella setta ci avrebbero favorito in tutto e per tutto». Izzo entra quindi nella setta, con un rito descritto nei dettagli, che prevede un nuovo stupro. Ma poi racconta: «Io che sono un vero Re del m
ale
potrei mai obbedire a questo santone di provincia? E immaginai la scena dell’uccisione del maestro: la mia spada di fuoco che calava rapida e silenziosa alla base del suo collo e io che alzavo la sua testa sanguinante e bevevo il sangue che sgorgava copiosamente dalla vena giugulare esterna».
14 maggio 2023 (modifica il 14 maggio 2023 | 13:56)
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