L’allenatore del Napoli Luciano Spalletti prima della sfida con l’Inter chiarisce: «Non mi servono le ali, piuttosto gli stivali. Se vado via lo deve dire la società»
Se sia o meno un’occasione persa sarà il tempo a dirlo, le variabili sono il sale del calcio. Ma il Napoli che saluta l’allenatore che ha vinto lo scudetto atteso 33 anni è un paradosso sportivo. Spalletti è così, la sua storia dice così. È la sfida dell’uomo di principio che supera l’ambizione dell’allenatore: avrebbe potuto scommettere ancora su un terreno che lui ha reso fertile, con una rosa rigogliosa e a lui devota; invece sceglie di tornare (per ora) in campagna. Lì dove «non ho bisogno delle ali» replicando a De Laurentiis che non vuole «tarpargliele». Gli stivali, quelli sì, li nomina («mi servono»), lasciando trapelare il desiderio di trascorrere più tempo nella vigna della sua Rimessa. Verità o bugia? Il calcio è il mondo dove tutto è sempre possibile. La Juventus è il futuro del d.s. Giuntoli, potrebbe raggiungerlo? «Ogni anno alla mia età devo rifare l’inventario di quello che mi gira per il cervello. Posso parlare solo del prossimo e sono già appagato».
La vigilia di Napoli-Inter diventa così la giornata delle metafore e dei ringraziamenti: la parola addio non viene mai pronunciata, le domande però sono insistenti, la storiella del «chi deve dire cosa» diventa stucchevole. Spalletti un po’ cede e un po’ no: bisogna intendere più che ascoltare. Entrare nella sua testa piena di cose, leggere l’ironia nei sorrisi, sentire i piccoli colpi di tosse dell’emozione. «Ho dato a Napoli tutto il mio tempo — dice — provando a fare il massimo. Ma i momenti che ho vissuto qui restano eterni, indelebili. Sì, ho ricevuto di più di quanto ho dato». Sveste il giubbotto della tuta e mostra una pettorina di allenamento, lì dove, due stagioni fa, aveva fatto scrivere: sarò con te, ora c’è la celebrazione: campioni d’Italia.
Partenza e arrivo, se non è questo un addio… «Ho definito tutto — aggiunge — a cena con il presidente, tocca a lui comunicare». L’uomo resiste poco al politically correct, i puntini sulle «i» sono il suo esercizio preferito. E, allora, tutto d’un fiato: «Falso che c’è stata una trattativa; falso che rinuncio a più soldi; falso che devo pagare una clausola; falso che aspetto un’altra squadra». Chiarissimo. Spalletti ha un’altra passione oltre a quella di appuntare schemi tattici e stati d’animo sui quadernetti della memoria. Colleziona articoli di giornali che lo riguardano: legge, conserva e allude: «Vi fa comodo o c’è qualcuno che vi dice di scrivere cose non vere?».
C’è l’Inter al Maradona e Lucio ritrova il campo: «Abbiamo stimoli e voglia, affrontiamo la finalista di Champions alla quale vanno fatti i complimenti. È l’unica squadra che non abbiamo battuto, questa può essere l’occasione». La giocherà con i migliori interpreti del suo calcio. Il dopo verrà il 30 giugno: sarà un futuro migliorabile? Spalletti rilancia: «C’è voluto coraggio quando sono arrivato, adesso le cose sono a posto, bisogna andare avanti e fare di più. De Laurentiis è una garanzia, ha già parlato di Champions». Torna al presidente che da par suo ribadisce la voglia di «vincere ancora» mentre diventa Cavaliere di merito dell’Ordine Costantiniano di San Giorgio. Sonda De Zerbi, sogna l’«amico» Conte e ripensa a Italiano e a Gasperini. A qualche amico svela: «Mi piace Palladino». Spalletti è più abile a sparigliare: «Quando riparto lo faccio a mille». Dove, Spalletti? Sorride, va in campo. Cavallo pazzo… con gli stivali.
21 maggio 2023 (modifica il 21 maggio 2023 | 07:54)
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