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«Mi è arrivato il cedolino».
Bene. Quanti soldi entrano in casa questo mese?
«Questi. Temevo di meno, speravo di più. C’è tutto spiegato qui. Anche quanto versiamo al fisco».
Quante volte nelle famiglie dei lavoratori dipendenti (che pagano regolarmente le tasse) si è sentito questo dialogo? Una storia di ogni giorno che ha radici lontane. Perché a inventare il «cedolino», come lo conosciamo oggi, è stato il signor Valerio Gilli. Settantacinque anni fa creò un’impresa e le diede il nome di «Innovazione aziendale» (Inaz). Oggi si direbbe una «startup» che inventò una «app» ante litteram. Un’«app» analogica, se vogliamo, capace di mandare al macero gli ingombranti libri paga, permettendo agli uffici del personale di abbattere i tempi e liberare gli spazi.
Cedolino, la sperimentazione dell’azienda Inaz
Da lì in poi, Inaz ha fatto mille passi, per un certo periodo anche a braccetto di Adriano Olivetti, che intuì da subito l’esplosiva novità del cedolino e, apprezzando la rivoluzionaria genialità di Gilli nell’organizzazione aziendale, contribuì allo sviluppo dell’azienda milanese in tutta Italia. All’inizio accanto a Valerio c’era la moglie Clara Calissano. Oggi la ditta è guidata dalla figlia Linda Gilli. Un’azienda familiare, con più di 50 milioni di euro di fatturato e centinaia di esperti, entrata nel «Quarto capitalismo» (il sistema delle imprese italiane di dimensione intermedia, convenzionalmente comprese tra 50 e 499 addetti, e quindi né grandi né piccole, che, a partire dalla seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso, sono riuscite a diventare competitive anche in campo internazionale).
La filosofia del cedolino
Da analogica Inaz è divenuta digitale: fa leva, infatti, sul software proprietario (con quattro centri di ricerca e sviluppo a Milano, Pisa, Praga e Vicenza) e attraverso 40 sedi territoriali gestisce 18.000 soluzioni software istallate; 220.000 cedolini in outsourcing, elabora ogni mese 2.400.000 stipendi. Per non perdere il filo che lega «la filosofia del cedolino» alla realtà attuale Linda Gilli usa il concetto di «Umanesimo d’impresa». Come dire: non puoi pensare soltanto al ricavo e al profitto immediati; devi guardare più in là: al bene comune, al bene sociale che poi è anche il tuo bene. Sulla base di questo credo Inaz è diventata anche una media company che corrisponde alla formula inventata da Tom Foremski, giornalista del Financial Times: EC=MC, ovvero «Every Company is a Media Company». Secondo Foremski, tutte le aziende hanno un patrimonio di archivi, storie e know-how che chiedono solo di essere condivisi con gli stakeholder e con il pubblico. Basta prenderne coscienza e attrezzarsi per comunicare al meglio, senza mediazioni esterne.
Inaz non ha perso l’occasione ed ecco che s’è lanciata in una copiosa produzione media che va dall’editoria ai docufilm passando per i webinar e i corsi di formazione. Anche qui non sfugge l’imprinting del fondatore: Valerio Gilli scrisse un paio di libri («Organizzazione e tecnica del lavoro paghe», «L’ufficio paghe») e lanciò un periodico, «L’Informatore Inaz» e il «Compendio», i volumi annuali sulle norme del lavoro e l’amministrazione del personale, tutt’ora ripubblicati. Oggi la «Piccola Biblioteca d’Impresa» allinea 22 titoli: economia, filosofia, psicologia, arte… ed è collegata alla library di «Il Mulino» con due titoli. Il primo «Per una storia della retribuzione. Lavoro, valore e metodi di remunerazione dall’antichità a oggi» di Giuseppe De Luca, Matteo Landoni, Vera Zamagni indaga i punti di svolta di una storia millenaria. Dalle prime forme di compenso in natura allo smart working.
Il lavoro si paga: dall’epoca romana a oggi
Prima di arrivare al «cedolino» c’è da capire come si è arrivati al concetto di compensare il lavoro
. Dall’antica concezione del lavoro come condizione necessaria per la sussistenza, all’accettazione dalla sua dignità intrinseca, al riconoscimento che la «giusta retribuzione» contribuisce allo sviluppo della società intera (anche di chi il salario te lo paga). Alla concentrazione della ricchezza in un numero di mani sempre più ristretto (come accade adesso e forse non accadeva dai tempi dell’Impero romano). Senza dimenticare gli anni dell’età classica in cui a lavorare dovevano essere soltanto gli schiavi perché i «cittadini» dovevano occuparsi della «res publica» e della «polis». Ma ricordando anche che nell’epoca romana la «manutenzione» di un esercito efficiente fu un laboratorio di innovazione: erano presenti forme di salario e di stipendio in qualche modo stabili, trattamento di fine rapporto e previdenza. Fino all’ascesa del cristianesimo in cui il lavoro viene elevato alla concezione di «opera» in cui l’essere umano trova la sua realizzazione e prosegue – appunto – «l’opera creatrice divina».
Poi, con il tempo, si arriverà alla equazione lavoro uguale soldi, cioè retribuzione e profitto. Si accavalleranno i cambiamenti impetuosi delle rivoluzioni industriali per arrivare ai nuovi lavori, all’industria 4.0, allo smart working. E si scateneranno: globalizzazione, delocalizzazione, compressione delle retribuzioni, precariato, disuguaglianze sociali sempre più ampie. Per fortuna che nel frattempo era nato il concetto di welfare. Il volume si chiude con un richiamo alle encicliche papali a ricordare che «il lavoro non è una merce, piuttosto forgia l’identità delle persone e la loro missione di vita» (Leone XIII, Rerum Novarum).
Nel catalogo della casa editrice bolognese c’è anche «Inaz. Innovazione aziendale. Un’azienda di persone per le persone», monografia della collana «Storie di imprese» che racconta nascita ed evoluzione della family company controllata ancora oggi dalla famiglia Gilli e gestita da un team di manager. Media company vuol dire anche promuovere mostre d’arte («La cultura, l’arte e la bellezza sono valori indispensabili, sono radici senza le quali è impossibile anche solo pensare al proprio futuro», dice Linda Gilli), produrre docufilm che hanno per protagonisti Ali Reza Arabnia, imprenditore iraniano, l’economista Marco Vitale, il giornalista e psicanalista Marco Garzonio. E anche proporre un viaggio tra «chi lavora e produce»: dai viticoltori del Trentino agli operai delle catene di montaggio; dalle famiglie di tradizione imprenditoriale ai giovani sviluppatori di startup; dai chirurghi che testano mani bio-robotiche al sacerdote che crea posti di lavoro nel Rione Sanità. Dal 5 gennaio 1953 l’idea del «cedolino» di Gilli è diventata il «prospetto paga» codificato dalla legge numero 4 dello Stato. Un obbligo per i datori di lavoro. Questa volta il dubbio è risolto: è nato prima l’uovo («cedolino») della gallina («prospetto»).
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13 mag 2023
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