Il boss irriverente e ironico di fronte ai magistrati nel primo inedito interrogatorio depositato in procura a Palermo lo scorso 21 febbraio. «Non ho più niente, mi avete già portato via tutto. Cosa Nostra? La conosco solo dai giornali»
«Ero un agricoltore, lavoravo in campagna. Sono di Castelvetrano, ma una residenza non ce l’ho più da tempo perché il Comune tanti anni fa mi ha cancellato. Io ormai sono un apolide…Non faccio parte di nessuna associazione. Quel che so di Cosa nostra lo so dai giornali». Toni secchi a tratti irriverenti e ironici e la recita del tradizionale copione dei veri capi di Cosa nostra che impone di negare sempre, negare tutto.
È un Matteo Messina Denaro rispettoso della «tradizione» mafiosa quello che viene fuori dal primo inedito interrogatorio depositato dalla procura di Palermo che ha sentito il padrino, il 21 febbraio scorso, nel corso di un interrogatorio di garanzia davanti al gip. Uno dei tanti procedimenti penali che lo vedono coinvolto, stavolta con l’accusa di estorsione aggravata. Secondo i magistrati avrebbe minacciato pesantemente la figlia di un prestanome per farsi restituire un terreno che la famiglia Messina Denaro aveva fittiziamente intestato al padre, Alfonso Passanante.
«Ha dei soprannomi?», gli chiede il gip Alfredo Montalto preliminarmente. «Mai avuti. Me li hanno attaccati da latitante i vari giornalisti, ma io nella mia famiglia non ho avuto soprannomi», dice. E quando il magistrato gli chiede delle sue condizioni economiche il boss risponde: «Non mi manca nulla». «Beni patrimoniali?», prosegue il gip. «Li avevo, me li avete tolti tutti e se comunque qualcosa ho, no lo dico. Sarebbe stupido. Certo che ne ho sennò come potevo vivere fino a ora», replica beffardo. E piccata è anche la risposta sulle condanne riportate. «Credo di sì». Ma quando il magistrato lo incalza aggiunge: «Mi ascolti, io ho detto credo di proposito perché anche voi dall’altra parte mi avete chiesto se ho sentenze definitive lo sapete pure voi e allora l’ho preso con un po’ di umorismo».
Sulla vicenda che gli viene contestata dal pm Gianluca De Leo il boss racconta la sua verità ammettendo di aver scritto una lettera alla vittima per riavere il suo terreno e negando di essersi servito di terze persone per fare arrivare il messaggio che comunque era solo la rivendicazione di una pretesa legittima. «Negli ultimi anni — ha raccontato — vengo a sapere che lei (la figlia di Passanante, ndr) stava vendendo il terreno. Perché lo venni a sapere? Perché il marito si recava in quel sito agricolo con i sensali, che con i vari compratori, infatti avevano quasi l’affare concluso. Tra parentesi avevano l’affare concluso sotto prezzo, tanto non è che era suo, perché lei che cosa voleva fare, prendersi questi soldi di questo terreno, cioè lo rubava, e pagarsi il mutuo. Arrivati a un dato punto, questi sono discorsi per me non onesti, perché le persone agiscono come vogliono, ma va bene così, ognuno poi risponde con la propria dignità delle cose fa, nel bene e nel male. Allora che cosa ho fatto, che volevo dire alla Passanante che il terreno non è suo, che è mio, perché lo comprò mio padre. E allora che cosa ho fatto, l’ho contattata, con una lettera, e gliel’ho firmata, non ho detto pseudonimi, firmato con Matteo Messina Denaro, perché io credevo di essere nella ragione dei fatti».
Un’ampia parte dell’interrogatorio depositato dalla Procura è coperto da omissis e riguarda, tra l’altro, i rapporti del padrino con i boss corleonesi che Messina Denaro nega di aver mai visto e la vicenda del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito sequestrato e sciolto nell’acido dopo oltre 700 giorni di prigionia. Il capomafia avrebbe smentito qualunque suo coinvolgimento nella tragica storia confutando con asprezza le accuse del collaboratore di giustizia Giovanni Brusca che — ha detto ai pm — «non ha mai incontrato».
9 maggio 2023 (modifica il 9 maggio 2023 | 17:31)
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