Al Maradona con l’Inter la partita più strampalata dell’anno, i nerazzurri danno l’impressione di avere testa e cuore altrove. Il toscanissimo Spalletti è riuscito a entrare nel cuore dei tifosi rimanendo se stesso
NAPOLI Se esistesse un premio per la partita più strampalata dell’anno, Napoli-Inter potrebbe vincerlo. Dimenticate, per un attimo, il gioco e il risultato, di cui parleremo. Concentratevi su due fatti. Il Napoli festeggia il meritatissimo scudetto con la finalista di Champions League. E su cosa rimuginano i tifosi? Sul divorzio metafisico tra un allenatore vincente (Luciano Spalletti) e un presidente riconoscente (Aurelio De Laurentiis). E la squadra di Simone Inzaghi? Gioca in casa dei neo-campioni d’Italia senza eccessiva convinzione, e dà l’impressione di avere testa e cuore altrove (Coppa Italia, Champions).
QUI le parole di Spalletti dopo la partita
Il risultato? Un rimpianto. Poteva essere una magnifica partita tra due squadre forti e giustamente orgogliose, ne è uscita un’altra cosa. Il Napoli ha messo in campo tutti i titolari. L’Inter solo tre (o quattro, secondo i punti di vista). Nonostante questo, i campioni d’Italia hanno faticato, nel primo tempo. Poi ci ha pensato Gagliardini a risolvergli i problemi, facendosi espellere. Inzaghi, che quasi certamente l’avrebbe tolto nell’intervallo, non sarà stato contento. Quello che è successo dopo è una conseguenza, e il gol di Di Lorenzo — diciamolo — costringeva all’applauso.
Pioggia pomeridiana su Napoli imbandierata sul Maradona, che i napoletani ormai chiamano così (non come noi milanesi, che insistiamo con San Siro, dimenticando Meazza). Una bolgia allegra. Tutti gli stadi, dovunque, portano le impronte digitali delle città (ecco perché andrebbero visitati, come i monumenti e le chiese). Ma qui a Napoli si aggiungono due cose. Una, tradizionale (una fantasia spericolata); l’altra, del tutto nuova (la consapevolezza di essere forti).
Pensava a queste cose, ieri, Luciano Spalletti, la cui incarnazione domenicale si agitava sotto di noi, davanti alla panchina? Davvero lascia? E dove va? Perché, in queste occasioni, tecnici e società — non solo a Napoli — si esprimono come sibille? Spalletti, per restare, chiede di non smantellare la squadra e vuole nuovi giocatori!, suggerisce qualcuno. De Laurentiis, uomo di cinema, vuole lanciare un blockbuster ogni stagione, non crede nei remake!, mi dice qualcun altro.
Il presidente, interrogato in proposito, non risponde, ma lo fa con cortesia. Napoli — non solo quella della tribuna — gli è grata. La città è troppo intelligente per non capire quello che è stato costruito. E si è visto anche ieri, soprattutto nel finale quando, raggiunta sull’1-1, la squadra ha deciso che sembrar bella non bastava.
Ecco perché l’addio dell’allenatore — se avverrà — appare ancora più bizzarro.
Perché il toscanissimo Spalletti è riuscito a entrare nel cuore dei tifosi rimanendo se stesso, senza ricorrere alla napoletanità posticcia che tanti forestieri adottano, per ingraziarsi la città. La vecchia Panda ridipinta per lo scudetto, d’accordo. Ma il video comparso ieri, in cui l’allenatore viene circondato da future spose che, ridendo, domandano «Sei tu lo spogliarellista che aspettavamo?», be’, quello non può essere stato costruito dall’ufficio stampa.
Certo, all’Inter tutto questo non interessava. Ma non è riuscita a imporre una narrazione alternativa del pomeriggio. Ha reagito, invece di agire. A meno che, in vista del Manchester City, volesse allenarsi a giocare contro azzurri decisamente forti, che fanno girare bene la palla. Ma allora doveva scendere in campo con un’altra formazione, e un altro spirito.
22 maggio 2023 (modifica il 22 maggio 2023 | 09:41)
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