Vivek Murthy, responsabile della salute pubblica degli Stati Uniti, in un report raccomanda alla politica di prendere provvedimenti per limitare ulteriormente l’accesso e alle società di potenziare i controlli perché siano rispettati i limiti d’età di chi li frequenta
È l’argomento più ricorrente delle conversazioni tra adulti con figli minorenni, da una parte all’altra dell’Atlantico. Del resto due genitori su tre ritengono che essere madre o padre oggi sia più difficile rispetto a 20 anni fa, proprio a causa loro. «I social media possono danneggiare profondamente la salute mentale dei ragazzi, in particolare degli adolescenti» avverte ora persino Vivek Murthy, il responsabile della salute pubblica degli Stati Uniti, il Surgeon General. «Siamo nel mezzo di una crisi della salute mentale giovanile, e temo che i social media siano un motore importante di questa crisi, dobbiamo affrontarla con urgenza», ha osservato dagli Usa, dove il tema è caldo a pochi giorni dal bando di TikTok in Montana e con lo Utah diventato il primo stato ad alzare la barriera a 18 anni per avere un account social (senza il consenso esplicito di un genitore).
In un dossier di 19 pagine, questo medico statunitense di origine indiana, autore tra l’altro di un libro apprezzato, «Insieme: il potere curativo delle connessioni umane in un mondo fatto di solitudine», non trascura gli effetti positivi dei social — come «spazio di espressione», con «possibilità di creare comunità e reti per scambiarsi informazioni, condividere interessi» — ma sollecita politici e società a mettere in campo maggiori tutele per i più giovani, ricordando che si trovano in fasi critiche dello sviluppo cerebrale. «Si tratta di massimizzare i benefici e ridurre i danni per creare un ambiente più sicuro e sano per i bambini».
I rischi
«Gli adolescenti non sono solo degli adulti più piccoli — ha sottolineato in un’intervista al New York Times — Sono invece in una fase di sviluppo diversa, e in una fase critica dello sviluppo del cervello». In particolare il rapporto rileva che «l’uso frequente dei social può essere associato a cambiamenti nell’amigdala (la zona del cervello che gestisce le emozioni) e nella corteccia prefrontale (importante per il controllo degli impulsi, la moderazione del comportamento sociale), e potrebbe aumentare la sensibilità alle ricompense e alle punizioni sociali».
Le piattaforme di social media sono piene di «contenuti estremi, inappropriati e dannosi», inclusi contenuti che «possono normalizzare» l’autolesionismo, i disturbi alimentari e altri comportamenti autodistruttivi. Il cyberbullismo è dilagante. «Nella prima adolescenza, quando si stanno formando identità e senso di autostima, lo sviluppo del cervello è particolarmente suscettibile alle pressioni sociali, alle opinioni dei pari e al confronto tra pari» ricorda Murthy.
L’uso dei social può causare influenzare i comportamenti alimentari e la qualità del sonno. E i ragazzi che trascorrono più di tre ore al giorno sui social hanno il doppio del rischio di sperimentare sintomi di depressione e ansia.
I controlli
Il 95% degli adolescenti ha detto di frequentare almeno una piattaforma, e più di un terzo ha dichiarato di utilizzarne diverse «quasi costantemente», secondo una ricerca citata nel dossier. Sebbene l’età minima richiesta per la maggior parte dei siti sia di 13 anni, il 40% dei bambini di età compresa tra gli 8 e i 12 anni li frequenta. C’è quindi un problema di controlli: controlli che non funzionano.
Le azioni
Murthy invita politici e aziende ad «agire con urgenza» per proteggere i più giovani dai potenziali pericoli. A ognuno la propria parte. Ai politici, dice, spetta innalzare gli standard di privacy per i dati di bambini e ragazzi, così da proteggerli da sfruttamento e abusi (6 adolescenti su 10 affermano di avere poco o nessun controllo sulle informazioni personali che le società di social media raccolgono su di loro); perseguire politiche che limitino ulteriormente l’accesso, incluso il rafforzamento e l’applicazione dei limiti di età; garantire che le aziende tecnologiche condividano i dati rilevanti per l’impatto sulla salute delle loro piattaforme; sostenere lo sviluppo di programmi di alfabetizzazione digitale nelle scuole per rafforzare la resilienza digitale o la capacità di riconoscere, gestire e riprendersi dai rischi online.
Alle società tecnologiche il compito di controllare meglio l’accesso alle proprie piattaforme perché siano rispettati i limiti di età, ed essere trasparenti sui dati dell’impatto dei loro prodotti sui bambini; gli algoritmi e il design della piattaforma dovrebbero cercare di massimizzare i potenziali vantaggi dei social invece delle funzionalità progettate per fare in modo che gli utenti trascorrano più tempo su di loro, ha auspicato.
Murthy raccomanda poi alle famiglie di bandire i dispositivi durante i pasti e i momenti di ritrovo, e di creare un «piano media familiare» per stabilire tempi e limiti sui contenuti.
Si tratta di «semplici» raccomandazioni, che evidemente non hanno il carattere di obbligatorietà di una legge. Ma rapporti simili di surgeon general hanno in passato contribuito a spostare il dibattito pubblico: sul fumo negli anni ‘60 , sull’Hiv e l’Aids negli anni ‘80 e hanno portato a dichiarare all’inizio degli anni 2000 che l’obesità era diventata un’epidemia nazionale.
24 maggio 2023 (modifica il 24 maggio 2023 | 15:31)
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