Dal 2016 il malanno aveva colpito diplomatici americani e canadesi, con le vittime che lamentavano dolori alla testa, ronzii, nausea, perdita di equilibrio. Coinvolta anche la delegazione di Kamala Harris in Vietnam. Ora il verdetto, ma il caso non è chiuso
Cuba sembrava ed è lo scenario perfetto. Paese assediato e in crisi, spesso coinvolto nella guerra di spie, reale o fittizia. Infatti è qui nel 2016 che appare un avversario invisibile, la «sindrome dell’Avana». È così strano che lo collegano all’azione di un’intelligence nemica degli Usa. Convinzione ribaltata da un report riservato degli investigatori statunitensi pubblicato dal Washington Post: non ci sono elementi per suffragare l’accusa in una storia sempre aperta.
Il malanno colpisce diplomatici americani e canadesi, le vittime lamentano dolori alla testa, ronzii, nausea, perdita di equilibrio. Dopo i primi episodi quasi mille segnalazioni, i disturbi appaiono in Sud America, Asia, Europa. Coinvolgono la delegazione della vice presidente americana Kamala Harris diretta in Vietnam, un funzionario Cia, dipendenti d’ogni livello. È un’epidemia di denunce accompagnata dal sospetto cupo: potrebbe trattarsi di un attacco da parte di un servizio segreto, con il ricorso ad armi radiologiche oppure l’impiego di sistemi di tracciamento elettronici invasivi.
La tesi dell’atto ostile coinvolge i soliti sospetti. Prima i cubani, quindi i russi, infine i cinesi, una lista dove appaiono molte interpretazioni, illazioni su apparati simili a quelli impiegati nella Guerra Fredda e riadattati al nuovo conflitto globale. Un panel di esperti indipendenti mette il proprio sigillo ritenendo possibile l’aggressione da parte di agenti ostili piazzati nelle vicinanze delle sedi diplomatiche e delle residenze all’estero. C’è chi crede di ricordare un furgone nei pressi dell’edificio: non quello di Scooby-Doo, bensì un veicolo attrezzato per carpire comunicazioni, intercettare, monitorare.
Il parere degli scienziati sembra dare ragione a quanti sono convinti di un piano ben strutturato, parte del nuovo conflitto tra potenze. Ma è sempre un giudizio parziale, non l’unico. In questi anni le tesi sono infinite e sorprendenti. In breve: il canto potente di strani grilli, l’effetto collaterale di potenti pesticidi usati nell’area caraibica, non meglio precisate contaminazioni, psicosi, nulla. L’Fbi fa infuriare le vittime lasciando trapelare l’ipotesi — insieme ad altre — della suggestione, ossia non c’è alcuna «onda» cattiva, è tutta un’impressione. La Casa Bianca affida il dossier alla Cia, nasce una task force guidata dal dirigente che ha dato la caccia a Osama bin Laden. È un messaggio rivolto ai funzionari colpiti, è un modo di rassicurarli e anche di cercare una risposta plausibile.
Dopo un anno di lavoro gli investigatori di sette agenzie dell’intelligence hanno emesso un verdetto: cinque ritengono «altamente improbabile» la responsabilità di 007 nemici, per due è «poco probabile». Restano dei distinguo, però la sostanza è questa. E allora quale sarebbe la causa? Tornano la pista dell’inquinamento ambientale, di condizioni pregresse e di sintomi legati ad altro, l’aria condizionata. Gli inquirenti precisano di non aver trovato punti in comune tra i molti «incidenti», non esistono riscontri forensi, non si hanno notizie di armamenti inediti messi a punto dai rivali. Inevitabile a questo punto l’assoluzione, ma non la chiusura definitiva del giallo.
Non è una sentenza di tribunale, sono molti — anche per ragioni legali e di risarcimenti — che hanno idee diverse, non sono pochi coloro che non si accontentano di verità «ad interim».
2 marzo 2023 (modifica il 2 marzo 2023 | 15:15)
© RIPRODUZIONE RISERVATA