In “La quattordicesima domenica del tempo ordinario”, Lodo Guenzi e Gabriele Lavia interpretano due fasi della vita di un uomo che non riesce a rassegnarsi al fallimento della propria esistenza (professionale e privata) e continua a inseguire i sogni di ragazzo, tra amore e musica, nella Bologna che cambia
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La quattordicesima domenica del tempo ordinario
il nuovo film di Pupi Avati, in sala dal 4 maggio. Protagonisti Gabriele Lavia (Marzio anziano), Lodo Guenzi (Marzio da giovane) Edwige Fenech (Sandra) e Massimo Lopez (Samuele). In questa doppia intervista apparsa su 7 in edicola il 5 maggio, Lavia e Guenzi raccontano le loro impressioni sul personaggio che li ha accomunati sul set. La proponiamo online per i lettori di Corriere.it
LODO E I TANTI CHE «POTEVANO ESSERE E NON SONO STATI»
Cerca una definizione, racconta «un momento felice e affollato» ed è come se fosse in equilibrio su una gamba sola. Lodo Guenzi, frontman degli Stato Sociale e attore in ascesa , classe 1986, parla di «fase multitasking», sospesa tra cinema e musica, di «occhiaie profonde e molte ore di sonno da recuperare». Doppio binario. Di qui c’è un film, La quattordicesima domenica del tempo ordinario regista Pupi Avati, dal 4 maggio nei cinema, in cui è Marzio, un musicista di belle speranze che parte in quarta e finisce prigioniero dei rimpianti, di «ciò che poteva essere e non è stato». Di là, un album di inediti, «senza peli sulla lingua», con i regaz dello Stato Sociale. Titolo, Stupido Sexy Futuro, che debutta proprio venerdì 5 maggio «dopo sei anni di assenza».
Lodo, cominciamo dal film. La storia di un perdente. Nella corsa al successo e come persona. Compreso il matrimonio con la difficile Sandra.
«Tutto è nato, come si dice, da una fortunata combinazione di eventi. Un bel giorno ricevo una telefonata di Antonio Avati, il fratello di Pupi: aveva avuto il mio numero da Paolo Rossi Pisu».
Uno dei produttori di Est – Dittatura Last Minute (2020), il film che la lanciò come attore.
«Dunque, Antonio mi propone La quattordicesima domenica. Dico subito sì, benché pieno di impegni. Leggo la sceneggiatura in un lampo. E mi spacca il cuore. Poi ecco il segno del destino…».
Spieghi.
«La sera assisto all’esibizione di “uno di noi”. Uno dei ragazzi ai blocchi di partenza dieci anni fa insieme a Nicolò Carnesi, Colapesce e Dimartino, Brunori, Dente. Beh, quel tipo – uno bravo eh – oggi è tornato a casa, ha cambiato strada, fa un’altra vita. Quella sera però aveva deciso di prendersi una band, di arrivare in treno con strumenti e amplificatori. E di ricordare il passato. Una serata intima, nostalgica, con molte riflessioni. Ho pensato a un segno del destino».
«STUPIDO SEXY FUTURO, NUOVO DISCO IN USCITA COI QUATTRO ‘REGAZ’ DI STATO SOCIALE: ERAVAMO STANCHI, ORA SIAMO LIBERI»
Il teatro, il diploma all’accademia d’arte drammatica di Udine. Alle spalle spettacoli come Il giardino dei ciliegi e Trappola per topi. Poi la musica, il cinema.
«Il cinema ha fatto irruzione nella mia vita con Max Croci, regista sensibile, che non c’è più: è scomparso nel 2018. Dovevamo fare un film insieme. Ma il progetto non s’è mai realizzato. Mi ha insegnato molto».
Cosa ha scoperto cammin facendo di Pupi Avati?
«Ho scoperto un poeta. I poeti hanno due caratteristiche. Uno: fanno succedere le cose quando nulla sembra dover accadere. Due: scrivono della loro vita dandoti l’impressione che stiano scrivendo della tua. Ci ho pensato quando ho letto la sceneggiatura de La quattordicesima domenica. Un colpo al cuore».
Il personaggio di Marzio, che divide in età diverse con Gabriele Lavia, quanto le corrisponde?
«Ho passato oltre dieci anni della mia vita in questo luogo strano che si potrebbe sintetizzare così: provare a vivere di musica. Ho visto amici anche fraterni compiere percorsi diseguali. Gente che ci ha provato. Che ha smesso. Che ha avuto alti e bassi, ha avuto successo, ha mangiato la polvere, è finita a terra e s’è rialzata. Che c’è rimasta male, s’è depressa, drogata. O che non c’è più. Nel mio Marzio vive un po’ di tutto questo».
Parliamo del rapporto con Sandra, il personaggio interpretato da Edwige Fenech e Camilla Ciraolo: bella, amata e perduta.
«Se la parabola di Marzio non è così lontana da me, la relazione con Sandra segna tante differenze. Lei appartiene al lato insicuro della sua personalità: è parte di quella rincorsa al successo che comporta il desiderio di dominare, il dovere di essere geloso. Questo non mi somiglia. Non ho urgenza di possesso. Ma è il bello di recitare è rappresentare le storie altrui».
Lavia, Fenech, Massimo Lopez, Cesare Bocci. Un set particolare.
«Tutti i set di Pupi Avati, mi risulta, sono fantasmagorici. Pupi con noi tutti si è affidato a un principio di libera associazione. Di talenti ed esperienze. Nel mio caso, la comune radice bolognese ha aiutato, credo».
L’album, invece, come è nato?
«Ci siamo guardati negli occhi scavalcando le nostre paure, anche quella di non avere più niente da dire. Ci siamo accorti che eravamo stanchi di essere sempre sotto pressione. Che certe ribalte nazional-popolari non ci appartenevano più. Siamo una band con 5 voci e 5 teste, forte di una narrazione complessa. Abbiamo provato a fare un disco libero. Il più libero possibile».
Ora che cosa si aspetta?
«Tutti noi speriamo che quella libertà si veda. Speriamo che Stupido Sexy Futuro vada in giro per il mondo come un figlio uscito presto di casa e compia il suo giusto percorso. Vogliamo superare la corsa all’impennata streaming, ai biglietti venduti, all’audience. Le ribalte pop e i palazzetti li abbiamo fatti. Ora andiamo avanti. Nel frattempo, esistono il cinema, i libri, il teatro, la tv. La libertà ti salva la vita più del successo. Ed è meno effimera. Diventa una disciplina dello spirito. Un principio di verità».
Lei ha detto: «Il futuro è attraente e infame, ti invita ad affrontarlo per poi farti lo sgambetto. Il futuro sarà deludente e allo stesso tempo così dannatamente sexy». Conferma?
«Confermo. Vede, il mio progetto a lunga distanza è trascinarmi fuori da una guerra di territorio per la carriera e acquisire la solidità per sviluppare creatività senza condizionamenti. Non sento l’urgenza di essere sempre più famoso. Mi piace partecipare a progetti, diciamo, “d’autore”. Cerco storie di fragilità umana. Non è dannatamente bello tutto questo?».
Lodo Guenzi
L’ALBUM
Come frontman della band Stato Sociale, nata a Bologna nel 2009, Lodo Guenzi esce oggi con il nuovo album Stupido Sexy Futuro (sopra)
LA VITA
Nato a Bologna 36 anni fa, Lodo Guenzi è attore di cinema e teatro, cantante e musicista, ha anche scritto due libri. Con Ambra ha condotto nel 2018 e 2019 il Concerto del Primo Maggio a Roma
IL CINEMA
Come attore di cinema è all’ottavo film in 4 anni. Il maggiore successo è stato Est- Dittatura Last Minute (2020) di Antonio Pisu (foto). Prima del ruolo nel film di Avati è stato tra i protagonisti di Improvvisamente Natale.
GABRIELE E LA SPINTA «A RECITARE PER SEMPRE LA MORTE È INGIUSTA»
Marzio, Samuele e Sandra. Tre ragazzi che, nella Bologna Anni 70, cercano di realizzare i loro sogni: i primi due nella musica e fondano il gruppo «I Leggenda»; l’altra nella moda e aspira a diventare indossatrice. Marzio e Sandra si innamorano e qualche anno dopo, nella quattordicesima domenica del tempo ordinario, si sposano in chiesa, mentre Samuele suona l’organo per loro. Le cose, però, non vanno come desiderano: li ritroviamo 35 anni dopo invecchiati e provati dalle rispettive frustrazioni.
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La quattordicesima domenica del tempo ordinario
il nuovo film di Pupi Avati, in sala dal 4 maggio, con protagonisti Gabriele Lavia (Marzio) ed Edwige Fenech (Sandra), e con Massimo Lopez nel ruolo di Samuele. I tre personaggi, da giovani, sono interpretati rispettivamente da Lodo Guenzi, Camilla Ciraolo e Nick Russo. «Impersono un fallito a tutto tondo, sia come cantante, sia come uomo», esordisce Lavia. «Da giovane, Marzio aveva tanti progetti da concretizzare ma, con il suo amico musicista, l’unica canzone che erano riusciti a incidere si intitolava proprio La quattordicesima domenica del tempo ordinario, parole che sembrano avere un vago sapore esoterico… Era la sola canzone che aveva avuto una diffusione su qualche radio locale… Poi, mentre Samuele imbocca un’altra strada, Marzio continua a inseguire il suo sogno assurdo, non rendendosi conto che l’avanzare dell’età è un forte discrimine. Va in giro con la sua chitarra, indossando i soliti improbabili stivali camperos, un vestito accroccato e reincontra la sua ex moglie, anche lei una fallita, una poveretta. In altri termini, è una storia di fallimenti, professionali ed esistenziali».
La vicenda rappresentata ha qualche attinenza con la biografia di Avati?
«In un certo modo sì, perché Pupi ha iniziato la sua carriera come musicista jazz, ma poi ha scelto un’altra strada. Però tutto si può dire fuorché sia un fallito. Tuttavia il suo cinema ha sempre uno sfondo autobiografico, non in maniera pedante, e cioè: adesso vi racconto la mia vita. Piuttosto dissimula nelle sue storie qualche angolo, qualche perimetro delle sue esperienze personali. Poi non dimentichiamo che Bologna è il suo grande amore, luogo di passioni. Inoltre, con i nostri personaggi, ci ricorda che la vita è corta. Secondo me dovrebbe durare oltre 300 anni e io, per esempio, che ne ho 81, ne avrei vissuti solo un terzo!».
La sua vita che è iniziata a Milano con un errore: la data di nascita, con cui guadagnò un giorno…
«Verissimo! Ma tengo molto alla mia vera data di nascita: 10/10/1942. Invece i miei genitori dichiararono 11/10/1942 per non pagare la multa. C’era la guerra e raggiunsero gli uffici dell’anagrafe con un giorno di ritardo: la burocrazia è rigorosa e stupida, non tiene conto dei bombardamenti… Questo errore mi ha condizionato, mi sono sempre sentito fuori epoca».
La sua storia artistica è tutt’altro che un errore «fuori epoca».
«E pensare che la mia prima volta a teatro, da spettatore, fu un disastro. Avevo 4 anni e mia madre mi portò a vedere il Cyrano de Bergerac interpretato da Gino Cervi. Mi annoiai mortalmente. Solo in seguito nacque in me la curiosità per il teatro, quando una compagnia amatoriale veniva nel salotto blu della nostra casa catanese, per provare il loro spettacolo: spiavo quegli attori, che poi avrebbero creato lo Stabile di Catania, e ne ero affascinato. Un fascino che poi mi spinse a iscrivermi all’Accademia d’arte drammatica, di nascosto dei miei genitori…».
«UN ERRORE SULLA DATA DI NASCITA MI HA FATTO SENTIRE FUORI EPOCA. MIO PADRE NON MI VOLEVA ATTORE»
Non erano d’accordo con la sua decisione?
«Per carità! Quando una sera lo annunciai mentre eravamo tutti insieme a cena, accadde il finimondo. Mio padre mi scaraventò contro un bicchiere: lo schivai per miracolo e finì contro il muro. Si era evidentemente reso conto che suo figlio aveva imboccato un percorso difficile, che per lui mi avrebbe rovinato. Si riconciliò quando, su Bolero Teletutto, venne pubblicato un servizio fotografico tutto dedicato a me. Deve aver pensato: Gabriele è arrivato al successo».
Non è figlio d’arte, ma ha avuto padri artistici…
«Tra i primi, il grande Renzo Ricci. Era protagonista del Giulio Cesare di Shakespeare, con cui si inaugurava il Teatro Argentina di Roma appena restaurato. Io avevo un piccolo ruolo e una volta mi permisi di dirgli: maestro, lei la parte la sa benissimo, perché usa sempre il suggeritore? Lui mi sorrise e, con dolcezza, mi appoggiò una mano sulla spalla dicendo: Pallino – così chiamava tutti noi ragazzi – la parte la conosco a memoria, però non l’ho ancora dimenticata… In quel momento, non capii quella risposta e, fra me e me, pensai: è vecchio… ormai è andato…».
Che voleva dire?
«L’ho capito molto tempo dopo: per interpretare bene un personaggio, la parte non la devi sapere soltanto a memoria, devi saperla dimenticare per essere in grado di improvvisare e ricreare. E aveva ragione».
Di cosa ha paura oggi?
«Della morte: trovo un’ingiustizia non essere eterni. Se però avessi la certezza di addormentarmi, di sognare un rapporto sessuale sfrenato e, nel momento di più alto piacere, morire, bè… sarebbe accettabile. Ma temo che non sarà così: al contrario, mi accorgerò della morte e sarò molto arrabbiato. Spero solo di venire seppellito con la camicia di forza. Sa che se un attore è ostacolato nei gesti recita sicuramente meglio?».
E vuole essere ostacolato anche da morto?
«Sì, perché anche dopo la fatidica dipartita vorrei continuare a recitare».
Gabriele Lavia
LA VITA
Nato a Milano 80 anni fa, Gabriele Lavia è stato attore e regista di teatro e cinema. La sua unione professionale e sentimentale con Monica Guerritore è durata 20 anni, dal 1981 al 2001.
IL CINEMA
Il suo principale successo sul grande schermo è stato Il principe di Homburg (1983) dal dramma di Von Kleist di cui era regista e protagonista
FAMIGLIA
Sposato dal 2015 con l’attrice Federica Di Martino, ha 3 figli. Lucia e Maria con Guerritore, Lorenzo con l’attrice Annarita Bartolomei. Lucia e Lorenzo sono attori.
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10 maggio 2023 (modifica il 10 maggio 2023 | 08:50)
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