Giornalista e critico musicale, in oltre quarant’anni ha girato mezzo mondo. E a chi convive con la stessa disabilit consiglia di non farsi bloccare dalla paura
Dici Francia e pensi alla Torre Eiffel. Dici Egitto e pensi alle Piramidi. Dici Cina e pensi alla Grande Muraglia. In oltre quarant’anni di viaggi, il giornalista e critico musicale Bruno Bertucci questi Paesi li ha visitati – al pari di altri quarantuno sparsi tra Europa, Asia, Africa e America –, ma non ha mai avuto modo di ammirare le loro meraviglie. Banali dimenticanze? Ovvio che no: il 65enne nativo di Cosenza non vedente dalla nascita, ma questo non ha mai soffocato il suo innato amore per la vita incerta di un uomo in compagnia della sua valigia, citando le parole da lui stesso riportate nel libro Allora ci vedo? (Scritto.io, 2022). D’altronde di sensi con cui esperire il mondo ne ha sempre avuti a disposizione altri quattro. Primo tra tutti l’udito, imprescindibile alleato per approfondire le sue gi vastissime conoscenze musicali. Penso per esempio a quella volta che in Paraguay ho potuto ascoltare le melodie guaran – ricorda –, ma anche a quando in Ecuador e in Egitto mi stato rispettivamente insegnato a suonare il charango e il kanun. Esistono tantissimi strumenti che noi non conosciamo, ma che producono suoni fantastici.
Pi che viaggi, ricerche dell’umano
Per Bertucci, comunque, la musica anche (e soprattutto) altro: una chiave di comprensione della realt. Un codice di accesso alle tradizioni locali spesso tramite lo sviluppo di legami di amicizia con professionisti ed esperti del settore: Ho sempre avuto grande voglia di imparare – afferma –, e in quest’ottica i miei viaggi si sono sempre configurati per prima cosa come ricerche dell’umano: voglio andare a fondo di ci con cui entro a contatto. Miro all’incontro con le persone per penetrare la loro cultura, a maggior ragione se diversa dalla mia. Da qui la sua speciale predilezione per il Marocco, Paese in cui ha vissuto e lavorato per ben nove anni: Era il 1987 – racconta – e vi trovai fin da subito grande accoglienza e disponibilit. In Italia, per esempio, difficile che si vada dal vicino a bere un caff. Anzi, spesso quando si sente qualcuno salire le scale ci si affretta a chiudere la porta. L invece del tutto normale essere invitati a bere un t. C’ insomma grande apertura nei confronti dell’altro, quindi la costante possibilit di fare nuove conoscenze.
Bando alla paura
Al di l della (pur fondamentale) dimensione etnoantropologica, tuttavia, godere di determinate bellezze non pu che essere un’esperienza spiccatamente visiva: dai tramonti del Madagascar all’imponenza del Partenone, dalle trasparenze del mar dei Caraibi al fascino della Gioconda (cui peraltro a Bertucci stato concesso di avvicinarsi pi che agli altri visitatori). Come funziona in questi casi? Semplice – illustra lui –: me le faccio spiegare. Io non vedo, ma posso comunque percepire: noi ciechi abbiamo parametri differenti rispetto al resto della popolazione. Morale: di viaggiare ne vale sempre la pena. Tutto sta nel non farsi fermare dalla paura: Capisco che per chi convive con una disabilit di questo tipo l’idea di avventurarsi all’estero possa creare apprensione – dice –, ma per superare il blocco basta provare ad affrontare la sfida in maniera graduale, magari facendosi aiutare inizialmente da un amico o da un familiare. E se un giorno si dovesse incappare in qualche disguido, pazienza: per quanto mi riguarda, viaggiare mi ha cambiato la vita. Continuer sempre a inseguire l’essenza delle cose.
6 marzo 2023 (modifica il 6 marzo 2023 | 15:55)
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